sabato 9 giugno 2012
Hester Stanophe, la regina di Palmira.
Non poche le lady che si perdono in oriente.
Vi dico alla spicciolata ciò che ho appreso di una di loro, pallida spilungona dalla fervida fantasia, che abbandonati i salotti londinesi e divelta ogni nota radice, se ne va, stella cometa controcorrente, verso est; approdata in quel di Siria, finirà con il dissolversi, polvere che torna alla polvere, sulle montagne del Libano.
Coloro che ne narrano la storia oscillano tra il descrivere le avventure scriteriate di una lady parecchio dissennata, per altro in linea con una certa rispettata e nota tradizione inglese di eccentricità, e la celebrazione di una donna indipendente e coraggiosa che rompe con i limiti che il sesso e l'epoca le imponevano.
Lady Hester Stanhope nasce nel 1776, l'anno della dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America, da una aristocratica famiglia, già ravvivata dalla bizzarria di un padre che fa il giacobino in contemporanea con la rivoluzione francese e scalpella via le armi dal suo stemma, per esserne la figlia più stravagante.
Molto presto orfana di madre, con un padre freddo e risposato con una fashion victim, se la squaglia appena può, a ventiquattro anni, e va ad abitare per qualche anno nella casa più prestigiosa di Londra con lo zio primo ministro, l'illustre William Pitt il giovane, uno dei grandi uomini della storia di Inghilterra, facendo una brillante vita di società - volatile parentesi nella sua storia - e iniziando a farsi conoscere come eccentrica lingua lunga. La nipote, anni dopo, quando si tratterà di commentare una zia diventata famosa, la descriverà, con un diluvio di aggettivi uno più pericoloso dell'altro, come autoritaria, impetuosa, testarda, indomita, vanitosa, e soprattutto sicura di essere nata per comandare.
Nel 1818, dopo la morte di Pitt, inizia un viaggio dal quale non tornerà più: in poco più di due anni percorre Gibilterra, Malta, le isole ioniche, il Peloponneso, Atene, Costantinopoli, Rodi, Egitto, Siria, Palestina, Libano, con puntate su tappe all'epoca davvero assai remote come Palmira o Baalbeck.
In Grecia, scontro di prime donne: incontra un giovane Byron, che la trova noiosa. A Costantinopoli passa qualche mese, inaugurando, con l'assistere trasgressivamente al proibitissimo corteo del sutano che andava in moschea, quell'apparente ignoramento delle convenzioni locali che si rivelerà formidabile intuito mediatico soprattutto presso beduini e drusi, le popolazioni che rappresentavono un potere eccentrico in quei territori. Quindi decide di voler vedere con i suoi occhi ciò che ha visto Napoleone, l'acerrimo nemico dello zio, e si avvia verso l'Egitto. Qui si verifica un episodio di iniziazione alla rottura e al cambiamento radicali: nei pressi di Rodi una furiosa tempesta la costringe e rifugiarsi dalla nave in pericolo su un nudo, ventoso isolotto senza riparo né cibo. Viene salvata, e approda a Rodi con il guardaroba perso e il vestito distrutto. Cambia gli abiti con quelli di un gentlemen turco e non se li leva più.
Orlando ante litteram, da donna, uomo; da occidentale, orientale; ermafrodito rinato dalle ceneri di un abito regency che diventa brache alla turca e turbante.
Al Cairo si fa ricevere dal pasha indossando un paio di larghi e drappeggiati pantaloni di velluto porpora molto fittamente ricamati d'oro, un morbido turbante di cachemire avvolto sui capelli, un corpetto di broccato di Damasco, una pelliccia magnifica, e una fusciacca che le stringe alla cintola pistole e coltelli. Molto alta, un naso notevole, luminosa nel suo pallore spettrale, capelli neri, penetranti occhi grigioazzurri, di lei si ammette che non è proprio bella, ma si dice che è senz'altro affascinante. Fa certamente la sua figura. Più tardi completerà questo ritratto mettendosi a fumare il chibouk, una lunghissima pipa turca le cui faville, disseminate in giro nel corso dei fluviali e incessanti monologhi con cui irretiva e stordiva i suoi visitatori, riempiranno di buchi i copriletti e tappeti nella casa dalle molte stanze che si farà costruire su una deserta montagna del Libano.
Intorno a lei appaiono figure note dell'avventura in oriente dell'inizio del secolo XIX: Johann Burckhardt, l'esploratore svizzero che nel 1812 avventurosamente riscopre per il mondo occidentale la perduta città di Petra, la incontra a Nazareth. Inizia un tour delle città del prossimo oriente, preceduta dalla sua fama. Quando sta per arrivare a Damasco viene avvertita che in quella città, la più tradizionalista, non è opportuno che una donna arrivi vestita da uomo e senza velo. Lei decide di prendere il toro per le corna, come sempre per altro, e fa il suo ingresso a mezzogiorno senza modificare né abbigliamento né modi. L'accoglienza di questa visione imprevedibile è imprevedibilmente trionfale ed entusiasta. La gente si rovescia per strada, il bazar si ferma, la festeggiano come un fenomeno.
E' lì che decide di avventurarsi fino a Palmira, meta che all'epoca era stata raggiunta solo da pochissimi spericolati esploratori occidentali, rifiutando ogni altra scorta che non sia quella dei rischiosi beduini. Se vogliamo sapere come si vestiva in viaggio, eccolo: un abito scarlatto ricamato d'oro e, quando cavalcava, un burnus bianco. Con lei c'è anche un'infelice dama di compagnia costretta a mettere i pantaloni, ma rifiutatasi di cavalcare anche lei come un uomo: scarafaggi, topi, naufragi, fame, tutto ciò passi, ma quello no. C'è anche un medico personale, che diventerà poi, dopo ben trenta anni passati con lei, il suo biografo.
I beduini, ammirati da ogni cosa, abbigliamento, portamento spavaldo, capacità di andare spericolatamente a cavallo, pazzia, la adottano e la scortano, in una settimana di viaggio nel deserto, fino a Plamira, dove viene acclamata loro regina – si sono intanto radunate molte tribù - mentre attraversa in trionfo la via colonnata. Sulle mensole delle colonne giovani beduine sventolanti palme hanno preso il posto delle perdute statue di bronzo. Hester ha 37 anni, 40 cammelli, 20 cavalieri, 2 dragomanni, 1 mamelucco, 2 cuochi, 1 medico di scorta, e centinaia di beduini che la acclamano.
Questo è il momento di gloria di Hester, che si vive come una novella Zenobia, la regina di Palmira che diede filo da torcere ai romani. Dopo una "tournée" in Siria, accolta come un gran personaggio tra l'umano e il soprannaturale, inizia a delinearsi la successiva fase, mistica, stralunata, dissipatrice della nostra lady.
Nel 1813 si sistema in una casa vasta, labirintica e solitaria dalle parti dei monti in Libano, alta su valli brulle e panoramica quanto mai, un ex monastero circondato di olivi, e lì passerà gli ultimi ventuno anni. I primi sono ancora regali, tra l'allestimento di un ritiro fiabesco e orientalista pieno di servitori e non privo di un giardino fiorito e magnifico come solo un inglese sa fare pur che gli diano quattro sassi da coltivare, il ricevimento di ospiti occidentali che fanno della sua casa una meta deputata per respirare un'aria Arabian Nights (tra loro, Lamartine, che come ci ricorda Edward Said, la chiamerà la Circe del deserto), e molti intrighi con i maggiorenti del luogo che la vedono conquistare un posto di potere tribale grazie anche a grandi elargizioni di danaro. Gli ultimi anni precipiteranno sempre più verso debiti e stravaganza.
Di questi ultimi venti anni fanno parte la dedizione all'astrologia e alle divinazioni che prevedono un suo ingresso in Gerusalemme come novella regina dei luoghi, il soprannome La Sibilla del Libano e un'avventura che la fa addebitare come primo archeologo in Terra Santa. Càpita infatti tra le sue mani un manoscritto medioevale, scritto in italiano, che parla del luogo dove si trova un ricco tesoro, sepolto dai cristiani lungo le coste del Libano. Il manoscritto pare sia stato copiato di nascosto da un monaco in una polverosa biblioteca di un convento sperso in qualche parte della Siria, la cui collocazione sembra non sia mai stata rivelata da lady Hester. Lei contratta un permesso di scavo con il governo ottomano, e poiché il tesoro sarebbe stato del governo, indebitato quanto basta, arriva subito un alto ufficiale ben conosciuto nei luoghi e che finora era stato visto giungere in Libano solo per confiscare beni o arrestare qualcuno, e già la lady viene immaginata in catene, ma quello porta la licenza per lo scavo. Si fanno così degli scassi sul sito della antichissima Ascalon, abbandonato da più di seicento anni, nella cui diruta moschea dovrebbe stare il tesoro. Non si trova oro, ma invece risorge dal vecchio suolo un colosso di pietra acefalo, forse un re divinizzato di quei perduti passati. La lady non ci pensa su due volte e con il piglio decisionista che la distingue ordina, sotto gli occhi esterrefatti e sconvolti del fidato medico che poi narrerà l’evento, che la statua venga frantumata per essere poi sprofondata in mare.
Questo fatto le fa meritare l’abominio dei successivi archeologi, poiché anche in un’epoca di archeologia primitiva come quella della lady, l’episodio si distingue per capacità distruttiva. Mentre la lady andava scavando in Palestina, i vari maggiorenti locali e parecchi avventurieri, ma anche i paesani del posto, tutti ritenevano che dalle vecchie pietre si dovesse ricavare un qualche vantaggio, dal rifarsi la casa al vendere una statua a coloro che andavano sviluppando la mania delle antichità. Uno dei pettegolezzi che commenta la distruzione della disgraziata statua dice che Hester lo fece per proteggere la sua reputazione dall’essere accusata – pare lo dicesse lei stessa – di fare gli scavi per prendersi la statua o peggio darla ai suoi non amati compatrioti invece che per donare un tesoro alla Sublime Porta. Un altro dice che spaccasse la statua per trovarvi il tesoro all’interno. A noi le due spiegazioni sembrano entrambe far acqua, non solo la seconda, d’epoca e adatta a menti veramente fantastiche, ma anche la prima che oggi, vista la smania delle “restituzioni” di antichità, trova qualche sostenitore di tipo perverso, del tipo meglio distruggere un bene archeologico che appropriarsene (mentre io sono sempre del parere della madre interpellata da re Salomone).
Lady Hester muore in massima povertà e ancora incessantemente parlando nel 1839, e viene sepolta nel giardino: gli ultimi e soli suoi averi è quanto ha indosso; il resto verrà preso, fino all'ultimo sgabello zoppo o vassoio ammaccato, immediatamente dopo la sua morte dai pochi servitori rimasti, per altro non più pagati da un pezzo. La casa è stata distrutta dall'abbandono e dai terremoti.
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La vita poco convenzionale della lady ha fatto sì che non abbia l'immancabile ritratto che ogni aristocratico regency ha. Girano di lei alcune immagini, tutte presunte o fatte sulla scia del suo mito, senza modella davanti agli occhi. Tra queste ultime la più seducente senza ombra di dubbio è quella di Hester - bisquit, una statuina di porcellana in turbante, a cavallo di un cammello e scortata da un "arabo" che sarebbe poi il suo famoso medico personale. La statuina testimonia la popolarità della leggenda di Hester in epoca vittoriana, e la sua fioritura sotto forma di porcellana dello Staffordshire.
Quanto ho scritto ha il solo fondamento di letture web; se volete sentir parlare di lei:
saudiaramcoworld.com
kirstenellis.net da qui viene anche l'immagine della statuina.
restoring reputation
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