mercoledì 13 giugno 2012
Juana Inéz de la Cruz. Il poemetto introduttivo del Libro de cocina
Obbedendo, sorella, al mio amor proprio,
ho voluto dar forma alla scrittura
di un Libro di Cucina e, che sciagura,
solo ho mostrato quanto male copio.
Non è servito a porvi zelo proprio
a renderlo un esempio di bravura,
perché, mancando a me genio e cultura,
un sol rigo non c’è che non sia improprio.
Così, sorella, è stato, ma qual passo
potrà mai far chi, troppo imprevidente,
fu travolta da zelo sì smargiasso?
Che può far? Supplicarvi che, indulgente,
perdonando un omaggio tanto crasso,
accogliate il suo pegno irriverente.
Un antico Libro de Cocina, ovvero una raccolta di ricette del XVIII secolo, attribuito con molte incertezze alla poetessa messicana suor Juana Inès de la Cruz, viene preceduto e introdotto da un poemetto a sua volta attribuitole, questo.
E’ un poemetto pieno di retorica umiltà, che rovescia a piene mani improperi sulla scrivente: lei non fa che copiare, e per di più lo fa male; manca di cultura e di genio, ogni rigo che scrive è improprio, nello scrivere è spinta dall’amor proprio e travolta da smargiasso zelo, e alla fine non ha prodotto che un crasso, irriverente omaggio, che con questo poemetto consegna a un’anonima “sorella” del convento di San Geronimo. Certamente la retorica dell’umiltà è nota e praticata anche da Juana – ricordiamo il poemetto in cui dona castagne a un’amica, dove si paragona a un riccio, animaletto spinoso - ma qui è quasi grottesca nella sua accentuazione.
Confrontiamo questa umiltà con il fatto che Juana Inès fu nella sua epoca definita “fenice del Messico”, “decima musa”, “unica poetessa americana”. Fu autrice dei primi testi di letteratura coloniale spagnola che arrivarono in Spagna e vi si imposero.
La sua storia fu alquanto particolare e drammatica: bimba e fanciulla prodigio, letterata e studiosa nonostante un’epoca che non prevedeva per niente donne con questa identità, rifugiatasi in convento per studiare in pace, finì la sua vita tra pentimenti di aver tanto osato e aggressioni di vescovi. Può darsi fosse per questa fine drammatica, accompagnata dalla dispersione della sua biblioteca e dalla pubblica rinuncia agli studi, ma dopo morta venne rapidamente dimenticata. Un secolo dopo, quando il Libro de Cocina venne scritto, forse copiando un testo di un secolo prima, chissà se si ricordavano di lei solo nel suo convento. Certo che nel poemetto tutto quel fustigare l’arroganza di chi lo scriveva sembra alquanto irriverente verso Juana, la superba scrittrice che i vescovi avevano dovuto piegare. E che qui si presenta come una copiatrice di ricette scritte alla bell’e meglio, di cui ho dato un piccolo saggio in un altro post.
Per sottolineare il contrasto tra l’umile libercolo di ricette e la fama della poetessa, la presento raffigurata in un ritratto molto celebrativo, che per quanto ne so è meno conosciuto dei suoi soliti nei quali appare nel proprio studio tra i libri, e dove appare abbigliata di sete e trapunta di perle come una Madonna barocca, con accluso bambinello in mano. Tutto questo fasto ricamato mi ricorda uno dei più bei luoghi di Madrid, il convento delle Descalzas Real, che rigurgita ancora oggi di questo mondo conventuale femminile e barocco, dove tra dolci, giocattoli e santi (anche belli e bellissimi nel loro essere raffigurati in legno dipinto dai magnifici scultori spagnoli) il confine è lieve e incerto.
Il poemetto è stato trodotto da Angelo Morino.
Angelo Morino, Il libro di cucina di Juana Inés de la Cruz, Sellerio, Palermo 2000.
Il dipinto viene da qui.
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Juana dona castagne spinose alla Viceregina
una sicura poetessa e un'improbabile cuoca
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