martedì 26 giugno 2012
Il sogno della camera rossa. La monaca, le tazze da tè.
Per arrivare a queste tazze da tè, dobbiamo prendere in mano un romanzo cinese del XVIII secolo con una infinita moltitudine di personaggi che a lungo terrorizzò i traduttori. Un classico di quella letteratura, fonte, in Cina, di volumi su volumi di esegesi, di drammi rappresentati in teatro, di letture appassionate. Anche letture di giovani adolescenti, perché adolescenti e giovani sono i protagonisti. Letture tuttora in corso, pare, presso i contemporanei. Un formidabile malloppo che ho letto più volte, manco fossi un adolescente cinese, e ho cominciato a diciotto anni, quindi ci sono in pieno. Però non è mica facile da capire. Avvince e sfugge, si riavvolge nella sua impenetrabile cinesità.
Tra la folla dei protagonisti mi colpì un personaggio minore, una certa monaca capricciosa e sola, pretenziosa e fragile che vive nel un parco di una ricca famiglia. Parco allestito in occasione delle nozze di una delle ragazze della famiglia con l’imperatore; e nel quale, in vari padiglioni, abitano membri della famiglia stessa. Quando il parco venne costruito, la monaca vi fu trasferita da un monastero alle porte della città, come si può fare con una roccia o un ponte, per renderlo più proprio e più bello. Si tratta di un uccello di passo, che infatti verrà poi soffiato via dal vento di rovina che negli ultimi capitoli del romanzo disperderà tutti i protagonisti e lei in particolare, rapita dai briganti che entreranno nel parco oramai privo di protezione e la porteranno in un vuoto altrove di cui lo scrittore non ci dirà nulla. La monaca è un’orfana di mandarini dedita ad ascesi buddiste, di cui sembra far parte intrinseca bere il tè entro tali messe alla prova di coloro che lo sorbiscono da sembrare iniziazioni rituali.
La scena che vi trascrivo ha inizio con un gruppetto di questa famiglia di snob – l’ava o l’anziana della famiglia, due fanciulle, Pao-Ch’ai e Gioiazzurra, e un fanciullo, Pao-Yü - che, avendo ricevuto la visita di una cugina di campagna, comare Liu, la portano a spasso nel parco un po’ per divertirla e un po’ per divertirsi, prendendola alquanto in giro nella sua semplicità contadina. Arrivano fino al padiglione della monaca, più snob e sprovveduta di loro nelle sue rigidità di bambina sola, e impattano in un allarmante ricevimento a base di tè.
Apprezzatene ogni momento. La competenza sull’acqua da usare, per esempio. La prima domanda che viene rivolta alla monaca da un’ospite è: che acqua è stata usata? Nell’ipotesi che essa sarà certamente stata oggetto di attenta scelta. La monaca è in grado di rispondere per le rime. Acqua piovana dell’anno prima per un tè squisito ma non eccezionale, acqua ottenuta dalla neve caduta su fiori di susino in una certa area sacra e poi sepolta profondamente per cinque anni per un tè supremamente raffinato.
Quanto è forte quel tè? Per nulla, ovviamente. Il tè con un’infusione accentuata è buono solo per la campagnola. Per i raffinati, delicatezza, leggerezza, soavità, purezza.
E poi, le tazze. Che differenza con un “servizio” di tazze, dove tutto è consono, in tinta e democraticamente uguale, dai piattini alla zuccheriera. Qui la differenza tra le tazze segnala e organizza le relazioni tra le persone, le gerarchie, le preferenze, le scelte, i rifiuti. C’è una tazza Ming a cinque colori, preziosa, ma non quanto quella di stagno Sung molto più antica e appartenuta a un poeta; ancora più antica, di un tempo oramai mitico quella simile alla ciotola di un bonzo che pure fu di un famoso personaggio. Bislacca e allarmante quella di bambù intrecciati, quotidiane e al tempo stesso eccezionali quelle di finissima porcellana bianca e quella di giada. Sei tipi di tazze per un solo ricevimento, e il loro essere distribuite, passate di mano, richieste, offerte con speciale attenzione, rifiutate, donate, intreccia i rapporti tra i personaggi. Si intuisce pure che la tazza è anche in un inscindibile rapporto con chi la usa, diventa una sua parte: la tazza Ming si salva dalla distruzione solo perché la monaca non l’ha mai usata e può quindi tollerare che vi abbia bevuto la contadina, a patto di non vederla mai più e infine di separarsene.
"La comitiva era giunta all’eremo Gabbia dell’Alcione, dove abitava una bella, giovane monaca di nome Miao-Yü, dedita aI servizio di Budda; era una fanciulla di diciott’anni, di cultura raffinata, e apparteneva a una nobile stirpe di mandarini oriunda di Su-chou. Dopo Ia monte dei genitori, aveva rinunciato al mondo per consacrarsi al servizio di Budda. Quando la sposa imperiale aveva fatto visita alla sua famiglia, ella da un monastero alle porte della città era stata trasferita nel parco. E ora, nella solitudine del suo eremo, con due governanti anziane e una servetta, conduceva una pia vita d’anacoreta e, con severa penitenza e devote meditazioni, si sforzava in ogni modo di mortificare la carne ribelle e, pur cosi giovane, d’innalzarsi a grado a grado fino alla santità. La monaca era nota per i suoi capricci e per l’arte di preparare il tè; e perciò, subito dopo averla salutata, l’ava le domandò una tazza della sua celebre bevanda. Su un vassoio di lacca intarsiata di begonie in fiore, nubi, draghi e segni shou, la monaca le portò lei stessa una tazza a cinque colori della miglior porcellana di Ming, del periodo Ch’êng-Hua, colma di quella squisita varietà nota con il nome di “Sopracciglia di Lao Tzu “.
- Con che acqua è stato preparato? - domandò l’ava.
- Con l’acqua piovana raccolta l’anno scorso, - spiegò la monaca. L’ava vuotò a mezzo la tazza e diede il resto alla comare Liu; poi volle sapere se le fosse piaciuto.
- Buonissimo, ma un pochettino debole e insipido: avrebbe dovuto stare ancora in infusione, - dichiarò schiettamente la comare Liu. Il suo giudizio suscitò l’ilarità generale, ma offese terribilmente la monaca. Mentre una cameriera dell’eremo serviva al resto della compagnia la stessa qualità di tè in bianche tazze con coperchio, di porcellana sottilissima, della nuova marca “gusci d’uovo” fabbricata nella Manifattura di Stato, Pao-Ch’ai e Gioiazzurra ebbero il privilegio di vedersi offrire un altro tè particolarmente squisito dalle mani stesse della religiosa, che tirò le due fanciulle per l’orlo del giubbetto e le condusse in una camera appartata, la “camera dell’ascolto”. Curioso com’era, Pao-Yü non poté trattenersi dal seguire di soppiatto le tre giovani, osservando dalle fessure della porta quel che facesse la monaca.
Vide che invitava Pao-Ch’ai a sedere su un pancaccio di legno e Gioiazzurra su una stuoia per preghiere, poi metteva una pentola d’acqua sul fornello a riverbero e infine versava l’acqua bollente in una teiera. Allora spalancò la porta e irruppe nella camera esclamando: — Guarda un po’! Vi bevete in segreto il vostro tè speciale!
- Certo, e tu qui non c’entri! - replicarono ridendo le cugine. Ma Pao-Yü non si lasciò intimidire: rimase e insistette per assaggiare anche lui quel tè speciale. La monaca stava cercando le tazze per i suoi ospiti, quando entrò la domestica a portarle quella da cui prima avevano bevuto l’ava e la comare Liu; essa Ia rifiutò, esclamando:
- No, questa no! Mettila da parte, non verrà più adoperata! – “Ah, evidentemente la considera profanata, perchè ci ha bevuto la vecchia!”, si disse Pao-Yü. Finalmente la monaca aveva scelto due recipienti adatti per le fanciulle: l’uno era un prezioso, antico boccale di stagno del tempo dei Sung, come si apprendeva dall’iscrizione che v’era incisa: “nel quarto mese del quinto anno del periodo yüan fêng della dinastia Sung, Su Tung-Po viene accolto nell’Accademia Han Lin “. Il boccale a tre piedi provvisto di un’ansa era dunque appartenuto al celebre poeta Su Tung-Po. La monaca lo porse a Pao-Ch’ai. L’altro recipiente, anch’esso di metallo, somigliava a un patra, Ia ciotola per le elemosine usata dai monaci buddisti mendicanti, ma era un po’ più piccolo. La sua iscrizione provava che era ancora più antico, perchè nei tipici caratteri da sigillo simili a perle stillanti si poteva leggere: “Wên Ch’iao, che ha acceso il corno del rinoceronte”. Dunque probabilmente la ciotola era appartenuta a Wên Ch’iao, gloria letteraria e politica della dinastia dei Chin orientali, che, secondo la tradizione, ebbe la splendida idea di illuminare il letto di un fiume calando nell’acqua il corno acceso di un rinoceronte. La monaca porse a Gioiazzurra quel memorabile recipiente. Alla fine riempì una bella tazza di giada verde ch’ella usava ogni giorno e la offerse a Pao-Yü. Questi fu deluso.
- Le mie due cugine si vedono offrire questi magnifici, preziosi oggetti antichi, e io mi devo accontentare di semplice vasellame ordinario. Già, le mie cugine sono eccezioni e io sono soltanto un individuo ordinario! - disse, facendo scherzosamente il broncio.
- Lo chiamate vasellame ordinario, questo? - obiettò la monaca offesa. - Non vorrei essere presuntuosa, ma credo che a casa vostra non userete abitualmente roba come questa!
- Vicino alla vostra eletta persona, le abituali cose preziose come oro, perle e giada, diventano bazzecole ordinarie! - si corresse Pao-Yü con galanteria. Rabbonita, la monaca lo ricompensò con uno strano, mastodontico bicchiere di nodose radici di bambù intrecciate in molteplici serpeggiamenti, che cercò apposta per lui. Pao-Yü trovò impareggiabile il tè speciale della monaca, sorseggiato da quell’enorme “pecchero marittimo “, e non si stancava di cantarne le lodi.
- Anche questo è preparato con l’acqua piovana dell’anno scorso? - domandò Gioiazzurra.
La monaca torse la bocca a un sorriso sprezzante.
- Si vede che gente volgare siete voialtri! - disse. - Non riuscite nemmeno a distinguere la qualità dell’acqua usata per il tè! L’acqua con cui è stato preparato questo tè la ricavai cinque anni fa dalla neve caduta sui fiori di susino, nel Tempio dei Cupi Anelli d’Incenso Sepolcrali. Raccolsi la neve in quella brocca smaltata d’azzurro, con le teste degli spiriti, e per cinque anni la tenni sepolta a gran profondità sotterra, senza mai toccarla. La tirai fuori soltanto quest’estate, per attingerne l’acqua di neve. Oggi è la seconda volta che preparo il tè con la preziosa provvista. Come supporre che dalla comune acqua piovana dell’anno prima si possa ottenere un tè dal gusto cosi puro e delicato!
Gioiazzurra si guardò bene dall’irritare la suscettibilità della monaca con altre osservazioni sconsiderate, e preferì congedarsi poco dopo con Pao-Ch’ai. Pao-Yü si trattenne ancora e fece cadere il discorso sulla tazza di porcellana Ming, da cui prima aveva bevuto anche la vecchia Liu.
- Pur ammettendo che la tazza sia contaminata e profanata, - osservò, - non sarebbe un peccato ridurre quel bell’oggetto a semplice rifiuto? Secondo me, sarebbe meglio lasciarlo a quella buona, semplice contadina. Potrebbe venderlo e ricavarne una bella sommetta. Che ne pensate?
- Certo, si potrebbe, - disse la monaca dopo un attimo di riflessione: - per fortuna, non l’ho mai usata io, altrimenti I’avrei rotta subito! Ma sì; per conto mio, prendetela pure e regalatela voi alla vecchia!
Pao-Yü se ne andò col suo bottino. Fuori consegnò la tazza alla cameriera Anitra Mandarina e le ordinò di darla alla comare Liu il giorno dopo, al momento della partenza, come dono ospitale."
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Il sogno della camera rossa, a cura di Franz Kuhn, con ventisette illustrazioni originali di Kai Ch’i, Einaudi 1958, p. 306-309
La traduzione è dal tedesco, e non è un gran che. Alcuni termini sono lasciati in cinese e cercatevi voi cosa vuol dire – il segno Shou è un segno augurale simbolo di lunga vita - altri tradotti bizzarramente, come quel “pecchero marittimo” che ci becchiamo tra capo e collo. Pecchero vuol dire bicchiere in italiano arcaico; perché fosse marittimo, dio solo lo sa.
Per orientarci sulle tazze, qualche data:
Dinastia Chin Orientali (317-419)
Sung (960 – 1129), Tung Po, Su: Poeta e Pittore della dinastia Sung. visse dal 1036 al 1101 e verso la metà della sua vita si dedicò al taoismo.
Ming (1368-1644); decorazione wucai, (cinque colori); Ch'eng-hua (1465-1487)
Qing, la dinastia dello scrittore (1644-1911).
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento