Sono anni che incrocio questa madama. E' passato molto tempo, infatti, quando venni per la prima volta a Brou. Ed è passato molto tempo prima che mi convincessi che dovevo impicciarmi un po' di più di chi fosse quella che veniva presentata come costruttrice della gotica chiesa di Brou e delle sue tombe rinascimentali, in un romanzo di amore e morte ove quel monastero - mausoleo assumeva le veci di un Taj Mahal, dove però questa volta a sopravvivere inconsolabile era la vedova.
Ricordo, dalle precedenti visite, un luogo molto più "piccolo". Si visitavano le sole tombe, a tutto il complesso dei tre chiostri non si accedeva, e mancava il formidabile tetto a punta lucente di smaglianti, colorate piastrelle, frutto di un restauro conclusosi nel 1999 che è tornato a rendere gotico, aguzzo e variopinto ciò che il tempo e la voglia di risparmiare avevano ottuso e scurito, quando vecchiaia e marciumi avevano convinto i monaci, che allora vi abitavano ancora, che bisognava pur fare qualche rattoppo, ma rassegnandosi alla perdita delle tegole originarie e accorciando le malridotte travature, ottenendo così una scura copertura mansardata.
Ho quindi affrontato l'ostacolo delle complesse genealogie, maledette nel ripetersi dei dinastici nomi sempre uguali che confondono le idee, che hanno attraversato la nascente Europa mentre usciva dal medioevo e si andavano creando, tra rigurgiti tribali, matrimoni e guerre, le nazioni cui nel frattempo ci siamo abituati. E ho scoperto che Margherita non solo era bionda, vedova, principessa, cattolica, e che con quelle nazioni non aveva niente a che fare, perché quelle si stavano appunto formando mentre lei era ancora erede di una cultura aristocratica assai più trasversale e imperialistica, ma soprattutto che era proprio una zia, una vera a propria zia.
Zia di Carlo V, prima di ogni altra cosa (ha pure Francesco I come nipote, pensate un po'; ma di quello non si cura). Il nipotino, del quale a Brou resta un ritratto in cui è assai virgulto, giovane, esile, roseo, svagato, dotato di un ampio cappello a frittella poggiato sulla zazzera squadrata, di un mento molto puntuto e una semiaperta bocca tumida dal labbro inferiore sporgente (anche lei del resto non era priva di una certa bazza asburgica), resta infatti presto orfano del padre Filippo il Bello, fratello maggiore di Margerita, che ha avuto dalla moglie Giovanna la Pazza, che nel frattempo viene relegata in prigionia e tolta di mezzo, ben sei figli di cui lui, Carlo, è il maggiore. Massimiliano d'Asburgo, il padre di Margherita e Filippo, nonno di Carlo, affida lui e i fratelli alla figlia, che si occuperà dell'incarico più che coscenziosamente.
Ecco Carlo, di Bernard van Orley, nel quadro conservato nel museo di Brou. L'immagine, da flikr
Margherita nasce a Bruxelles nel 1480. I genitori sono Massimiliano d’Asburgo imperatore, appunto, e Maria di Borgogna, l’unica figlia dell’ultimo granduca, Carlo il Temerario.
La pupa Margherita resta presto priva della mamma, che muore a venticinque anni per una caduta da cavallo, e a soli tre anni sposa Carlo Delfino di Francia, poi Carlo VIII, che però quando lei ne ha 11 la ripudia per sposare Anna di Bretagna, diventata più conveniente alle sue mire di conquista di regni e territori. C'è un ritratto di Margherita a tre anni, da "fidanzata", in cui è vestita di tutto punto, con un capello a pan di zucchero di panno nero su cui è appuntato un gran gioiello e la faccetta dura da chi sta già stringendo i denti.
L'immagine, da qui.
Qui è ancora bambina e ancora "regina di Francia"; ha infatti dieci anni. Di nuovo pare non divertirsi per niente. Il dipinto è di Jean Hey’s, detto anche Maestro di Moulins; il quadro è al Metropolitan Museum of Art, New York.
Dopo poco dovrà riprendere a cavarsela in un percorso disseminato di attentati alla superbia aristocratica, alla vita, ai possessi faticosamente accumulati dalla sua famiglia.
Nel 1497, ancora giovanissima, sposa Juan di Castiglia, che muore pochi mesi dopo. Resta un paio di anni con la suocera, Isabella (quella della biancheria, o se si vuole di Cristoforo Colombo); quindi nel 1501 sposa Filiberto di Savoia, detto pure lui il Bello (sospetto che a quell'epoca ogni giovane aristocratico alto e forte, in buona salute, fosse festeggiato con quell'aggettivo) che ha un grande ducato che va a nord da Burg en Bresse a Ginevra, a sud da Nizza a Torino e una certa voglia di divertirsi in cui coinvolge la moglie. Tre anni dopo anche lui muore, dopo una gran sudata fatta andando a caccia e una bevuta di acqua gelida da una fonte falsamente ristoratrice. Lei ha 25 anni.
Venticinque anni prima la suocera, chiamata anche lei Margherita, aveva fatto un voto: il marito aveva avuto un incidente di caccia; se fosse guarito, lei avrebbe fatto edificare una chiesa a Brou. Il marito era guarito. Era passato del tempo, la suocera era morta e non se ne era fatto nulla. Margherita interpreta la morte di Filiberto come un segno del cielo in risposta al mancato voto. Si accinge all'impresa di far costruire il convento.
Intanto, divenuta tutrice di Carlo e dei fratelli, lascia la Savoia e va a fare la reggente dei Paesi Bassi, a Malins. Lo sarà per 25 anni. Muore nel 1530, due anni prima della morte di Carlo V e della fine dei lavori di Brou, alla cui costruzione partecipa intensamente, valutando progetti e scegliendo artefici, ma che non vedrà mai.
Questo è il ritratto di una rosea Margherita in abiti da vedova - li porterà fino alla morte - di Bernard van Orley, conservato nel museo di Brou, Bourg-en-Bresse. Eccola infine distesa e sorridente. Il ritratto è del 1518, mentre quello di Carlo è del 1516. In pratica, coevi. Possiamo immaginarci le facce dei giovani zia e nipote a confronto, mentre lei gli dà gli immancabili buoni consigli.
L'immagine, da linternaute.com
Questo ritratto, assai vicino al precedente, ma meno roseo, è di pure di Bernard van Orley; dal Musée Royaux des Beaux Arts di Brüssel; l'immagine da wikipedia.
Quest'altra immagine, da un libro miniato dedicato alla genealogia di Carlo V. Riporta, oltre che le pertinenti margherite, il suo celebre motto: Fortune Infortune Fort Une. La fortuna importuna assai una donna. Ma anche: la sorte, sia buona che cattiva, rende forte una donna.
L'immagine da larusse.fr
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