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venerdì 15 giugno 2012

Libro de cocina e Suor Juna Inéz de la Cruz.



Suor Juana Inés de la Cruz (1651–1695).
Artista sconosciuto.

Questa è la poetessa che regala castagne. Una poetessa molto importante per la storia della letteratura messicana.

Qualcuno, collocandolo molto al margine della sua produzione, che era di tutt’altro tipo, le attribuisce anche un libro di cucina. Libro manoscritto nel XVIII secolo nel Convento de San Jerònimo a Ciudad de Mexico, ma che forse riprende ricette di un secolo prima, quando in quel convento visse suor Juana. Ricette, ad esempio, come queste.

Stufato di pollo.
Fa’ un trito di pollo, fallo bollire e insaporiscilo con tutte le spezie. Quindi, disporrai di una casseruola imburrata uno strato di fette di pane tostate, su cui verserai un po’ di vino, e un altro strato di panna spolverata di cannella, chiodi di garofano e pepe. Procederai in questo modo fin quando la casseruola non sarà piena, badando che l’ultimo strato sia di fette di pane. Allora verserai il brodo rimasto, aggiungendo sopra il tutto uno strato di tuorli d’uovo sbattuti.

Dolce di burro e zucchero.
Preparato lo sciroppo con 2 libbre di zucchero, gli si aggiungono 3 bei panetti di burro. Si prendono 4 scudi di pan di Spagna, tagliato a fette, e si alternano sul vassoio uno strato di pan di Spagna e un altro di composto a base di sciroppo, fino a riempirlo. Poi si sbattono i tuorli d’uovo e acqua di fiori d’arancio, si versa il tutto sopra una pentola piena d’acqua calda, finché i tuorli non si saranno rassodati. Si lascia raffreddare e si mettono sopra uva passa, pinoli, mandorle e confettini colorati.

Dolce alla panna.
In parti uguali, panna e uova i cui tuorli siano stati sbattuti con l’aggiunta di zucchero a piacere, sale e cannella pestata. Si imburra una casseruola e vi si versa il composto sbattuto, per poi metterlo sul fuoco finché non si sia asciugato.

Dolce alle noci.
Per un piatto di media grandezza, mezza libra di noci, due scudi di mandorle, uova, ma solo i tuorli. Una volta che sia stato portato a mezza cottura uno sciroppo di due libbre di zucchero, vi si aggiunge tutto il resto ben pestato, mentre le uova vanno aggiunte sbattute quando si sta raggiungendo la prima cottura. Si versa sopra strati di pan di Spagna e si guarnisce con uva passa, mandorle e pinoli.

Il traduttore Angelo Morino ci dice che in realtà le ricette non parlano di pan di Spagna, ma di mamon, un dolce messicano che per altro afferma essere molto simile al pan di Spagna.

Il libro di cucina di Juana Inés de la Cruz. Angelo Morino, Sellerio, Palermo 1999.

Il ritratto di Suor Juana viene da qui.

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Juana dona castagne spinose alla Viceregina

il poemetto introduttivo del Libro de Cocina

una sicura poetessa e un'improbabile cuoca

giovedì 14 giugno 2012

Juana Inéz de la Cruz dona castagne spinose


Una poetessa messicana del XVII secolo dona castagne a un'amica amata.

Lysi, alle tue belle mani
dono castagne spinose,
perchè dove abbondan rose
non posson mancare spine.
Se tendi alla loro asprezza
e con questo il gusto inganni,
perdona la rustichezza
di chi te le regalò;
perdona, ché questo riccio
solo può donar castagne.


Juana Inés de la Cruz (1648-1695)
Versi d'amore e di circostanza. Einaudi, Torino 1995.
Le poesie furono scritte per María Luisa Manrique de Lara y Gonzaga, contessa di Paredes, marchesa di Laguna e viceregina del Messico dal 1680 al 1688.

da qui.

L'immagine è tratta da:
I mai visti. Sorprese di frutta e fiori. Capolavori dai depositi degli Uffizi. Giunti, Firenze 2002

Per una poetessa barocca e la sua viceregina, un dipinto di una pittrice olandese del medesimo secolo.

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altri post su Juana:

Juana dona castagne spinose alla Viceregina

il poemetto introduttivo del Libro de Cocina

una sicura poetessa e un'improbabile cuoca

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Rachel Ruysch
(Amsterdam 1665-1750)
Frutta e insetti, particolare.

mercoledì 13 giugno 2012

Juana Inéz de la Cruz. Il poemetto introduttivo del Libro de cocina



Obbedendo, sorella, al mio amor proprio,
ho voluto dar forma alla scrittura
di un Libro di Cucina e, che sciagura,
solo ho mostrato quanto male copio.
Non è servito a porvi zelo proprio
a renderlo un esempio di bravura,
perché, mancando a me genio e cultura,
un sol rigo non c’è che non sia improprio.
Così, sorella, è stato, ma qual passo
potrà mai far chi, troppo imprevidente,
fu travolta da zelo sì smargiasso?
Che può far? Supplicarvi che, indulgente,
perdonando un omaggio tanto crasso,
accogliate il suo pegno irriverente.


Un antico Libro de Cocina, ovvero una raccolta di ricette del XVIII secolo, attribuito con molte incertezze alla poetessa messicana suor Juana Inès de la Cruz, viene preceduto e introdotto da un poemetto a sua volta attribuitole, questo.

E’ un poemetto pieno di retorica umiltà, che rovescia a piene mani improperi sulla scrivente: lei non fa che copiare, e per di più lo fa male; manca di cultura e di genio, ogni rigo che scrive è improprio, nello scrivere è spinta dall’amor proprio e travolta da smargiasso zelo, e alla fine non ha prodotto che un crasso, irriverente omaggio, che con questo poemetto consegna a un’anonima “sorella” del convento di San Geronimo. Certamente la retorica dell’umiltà è nota e praticata anche da Juana – ricordiamo il poemetto in cui dona castagne a un’amica, dove si paragona a un riccio, animaletto spinoso - ma qui è quasi grottesca nella sua accentuazione.

Confrontiamo questa umiltà con il fatto che Juana Inès fu nella sua epoca definita “fenice del Messico”, “decima musa”, “unica poetessa americana”. Fu autrice dei primi testi di letteratura coloniale spagnola che arrivarono in Spagna e vi si imposero.

La sua storia fu alquanto particolare e drammatica: bimba e fanciulla prodigio, letterata e studiosa nonostante un’epoca che non prevedeva per niente donne con questa identità, rifugiatasi in convento per studiare in pace, finì la sua vita tra pentimenti di aver tanto osato e aggressioni di vescovi. Può darsi fosse per questa fine drammatica, accompagnata dalla dispersione della sua biblioteca e dalla pubblica rinuncia agli studi, ma dopo morta venne rapidamente dimenticata. Un secolo dopo, quando il Libro de Cocina venne scritto, forse copiando un testo di un secolo prima, chissà se si ricordavano di lei solo nel suo convento. Certo che nel poemetto tutto quel fustigare l’arroganza di chi lo scriveva sembra alquanto irriverente verso Juana, la superba scrittrice che i vescovi avevano dovuto piegare. E che qui si presenta come una copiatrice di ricette scritte alla bell’e meglio, di cui ho dato un piccolo saggio in un altro post.

Per sottolineare il contrasto tra l’umile libercolo di ricette e la fama della poetessa, la presento raffigurata in un ritratto molto celebrativo, che per quanto ne so è meno conosciuto dei suoi soliti nei quali appare nel proprio studio tra i libri, e dove appare abbigliata di sete e trapunta di perle come una Madonna barocca, con accluso bambinello in mano. Tutto questo fasto ricamato mi ricorda uno dei più bei luoghi di Madrid, il convento delle Descalzas Real, che rigurgita ancora oggi di questo mondo conventuale femminile e barocco, dove tra dolci, giocattoli e santi (anche belli e bellissimi nel loro essere raffigurati in legno dipinto dai magnifici scultori spagnoli) il confine è lieve e incerto.

Il poemetto è stato trodotto da Angelo Morino.
Angelo Morino, Il libro di cucina di Juana Inés de la Cruz, Sellerio, Palermo 2000.


Il dipinto viene da qui.

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Juana dona castagne spinose alla Viceregina


una sicura poetessa e un'improbabile cuoca

martedì 12 giugno 2012

Juana Inés de la Cruz. Una sicura poetessa e un'improbabile cuoca



Molti di noi – io per esempio – di lei non ne sanno un accidenti, poiché spingere lo sguardo entro foschie lontane come le letterature latino americane, peggio ancora se femminili e barocche, è cosa veramente avventurosa e stravagante. Tuttavia, san web ci dimostra, se cerchiamo notizie di tal Juana Inés de la Cruz, che la rete pullula di celebrazioni e rimembranze di questa donna, famosa – si scopre – per ricchi e molteplici talenti e pateticità romantica e drammatica di vita, tutte cose che non guastano quando si vuole passare ai posteri.

A me per altro Juana era già arrivata per un’altra via, un libretto dono dell’amico GianniM che ancora ringrazio.

Angelo Morino, Il libro di cucina di Juana Inés de la Cruz, Sellerio, Palermo 2000.

Si tratta di un libretto Sellerio – e chi sennò – che presenta una strana mescolanza tra due anime.

Da un lato c’è la trascrizione del XVII secolo di un libro di cucina che forse è del secolo precedente. E’ un libro di un convento messicano, anzi più che un libro un insieme di appunti, che riporta ricette buttate giù alla buona, dove si intuiscono macchie di burro e patacche di rosso d’uovo. Le ricette grondano di dolci speziati e profumati, di mandorle e cannella, di confetti colorati, e portano con sé, nonostante lo stile scarno e approssimativo delle note scritte in fretta, puro pro memoria anche un po’ sgrammaticato, l’irresistibile aura fascinosa della cucina di convento femminile, dove tanti dolci si tramandarono, covarono e nacquero e tante tradizioni si ritesserono attraversando spregiudicatamente religioni e culture diverse.

Dall’altro c’è un piccolo saggio su Juana, che in quello stesso convento fu monaca, scritto con lo stile della noterella affettuosa dal traduttore Angelo Morino, professore di letteratura latino americana.

Nel saggio Morino si trova con due oggetti, le ricette da un lato, la vita di Juana e le sue opere dall’altro, che si incrociano alquanto pretestuosamente, e si adopera a metterli insieme.



Qui non si capirebbe più una parola, però, se non si fa breve premessa su Juana. Bambina illegittima e insieme bambina prodigio, che prestissimo a da autodidatta (l’unico modo allora concepibile per una femmina) si appropria di una quantità di saperi a vasto raggio, fino a diventare una novella Caterina d’Alessandria. Nota nella sua epoca, non solo in Messico, per scienza, brillantezza di ingegno e virtuosismo appassionato nel versificare, viene introdotta da intima e pupilla di viceregine nella corte dei vicerè. Come Caterina, tuttavia, è a rischio elevatissimo di diventare santa mediante taglio della testa per via delle diffidenze e rabbie e invidie che tale eccezionale femminile percorso suscitò. Dopo un periodo privilegiato in cui scambiava doni con le viceregine, e con una in particolare con cui si amò così ardentemente da mettere in imbarazzo tutti (forse più oggi che allora, però), tornate le sue protettrici in Spagna, venne presa nelle grinfie di vescovi che non la mollarono fino a che, dopo strenua, brillante a tutt’oggi ammiratissima letteraria difesa, lei non capitolò su tutta la linea, firmando la lettera del suo pentimento con il suo stesso sangue e disperdendo la ricca biblioteca – una delle più cospicue del suo paese – per venderla a favore dei poveri. L’accusa era di scrivere di cose profane, cosa nella quale la nostra per altro tanto si distinse da essere considerata il maggior poeta barocco del Messico e uno dei massimi di tutte le epoche per quel paese.



Ancora non ho detto, però, tutto ciò che serve. Torniamo alle vicende della sua vita. Juana non volendo sposarsi e nella speranza di trovare un rifugio tranquillo, a sedici anni andò in convento a farsi suora e lì visse fino alla morte, per ventisette anni. Un convento confortevole e pieno di chiacchiere, come ce n’erano allora. Ogni monaca aveva una casetta con tutti i servizi e volendo portava con sé, come Juana fece, una schiava. C’era inoltre un vasto personale di servizio in comune che moltiplicava le presenze e faceva di quei conventi cittadelle femminili piene di visite, di conversazioni e di ricevimenti a base di dolci. Lei un po’ si scocciava perché a quanto pare voleva starsene sempre a scrivere e studiare, tuttavia ci stette bene, credo, finché ci furono le sue viceregine con cui farsi le visite scambiare doni. Le viceregine non so cosa le mandassero, ma lei mandava rose appena colte e qualche volta anche torte, per esempio di noci. Tutto, ovviamente, accompagnato da scintillanti poesie.

Una volta Juana scrisse che le donne non possono fare che filosofie di cucina, ma disse anche che se Aristotele avesse cucinato, avrebbe scritto di più.

Questa battuta era rivolta a un uomo nemico. Si tratta del cattivissimo vescovo che, andate via le viceregine amiche sue, si era buttato su di lei con quell’accusa di trasgressione che in seguito avrà grande efficacia, portandola alla dichiarazione di pentimento e al silenzio. Qui però Juana ancora si difende. E sfida il vescovo a pensare spregiudicatamente (massimo peccato per un vescovo). Mettendo insieme Aristotele il sommo e la bassa pratica di cucina affidata alle donne, proponeva al vescovo – quanto è barocco tutto ciò – che la congiunzione trasgressiva e sorprendente avrebbe giovato a rendere più frizzante il pensiero dell’eccelso filosofo, più produttivo il suo calamo. C’era anche l’allusione non tanto velata che un contributo di umile donnità (lei) proposta provocatoriamente come odorosa di fritti, intrisa di cucina, alla superba mascolinità (Aristotele, ma anche il vescovo) avrebbe certo giovato a quest’ultima.



Vediamo se dopo tutto questo premettere posso tornare al libretto di Sellerio dove Morino tenta di tenere insieme ricette e poetessa.

Che materiale si trova davanti Morino? Una certa tradizione dice che il libro di ricette fu scritto da Juana, c’è pure un poemetto attribuito a lei per introdurlo e la sua firma a concluderlo. Ma l’epoca del manoscritto non è quella di Juana, è stato scritto cento anni dopo. Le ricette sono veramente pochissima cosa se considerate nella loro scrittura, e lo stesso poemetto zoppica, come mai gli autografi della nostra. Soprattutto Juana era non solo raffinatissima scrittrice, ma, lo deduciamo da ciò che lo stesso Morino ci dice, massimamente snob. Ce la vedete a scribacchiare trasandate notarelle di farina e di uova senza nemmeno pensare alla grammatica?

Marino aveva due strade, a quanto posso capire.

Una era quella di fare un’analisi del perché nasce una tradizione che rifila le ricettuzze a Juana. Un’ulteriore mortificazione dell’altezzoso spirito? Una manovra degli eredi dell’invidioso vescovo? Avrebbe avuto un bel romanzo da fare, e forse una ricerca negli archivi. Però, si chiude questa via dicendo che dopo cento anni dalla morte, quando viene scritto il libro di ricette, Juana era dimenticata; chi poteva avercela con lei?

L’altra era quella di sostenere la possibilità di attribuire il libro di ricette alla coltissima suora. Questa è la strada che Marino sceglie. Ci dice che forse, giocando con le consorelle, rilassandosi in qualche pomeriggio di ozio, Juana potrebbe aver copiato le ricette, così, per scherzo. Aggiunge che è vero che sono mal scritte, ma che alla fin fine la nostra era autodidatta; qualche erroraccio, qualche sgrammaticatura le poteva pur scappare. Non credo che questo commento sarebbe piaciuto a Juana.

Ci sono altri due post su Juana:

Suor Juana Inés de la Cruz. Il poemetto introduttivo al Libro de Cocina.

Juana Inés de la Cruz dona castagne spinose.



La prima immagine di Juana viene da abm-enterprises.net.

La seconda da members.tripod.com.

Un paio di biografie:

wikipedia

i grandi eccentrici