martedì 19 giugno 2012

Cina. La lirica cinese e cosa ne pensava Montale.


Court Lady with Flowers, Zhou Fang, Tang Dynasty, silk
Da chineseteaceremony.eu



Uno stralcio dalla prefazione di Eugenio Montale a Liriche cinesi (1753 a.C. – 1278 d. C.), Einaudi, Torino 1955:

“[…] il vasto, secolare paesaggio che ci si apre dinanzi agli sguardi ci lascia ancora una volta privi di riferimenti e, pur nell’ammirazione, disorientati.
 Questa poesia non è un microcosmo che riveli e illumini perfettamente l’entità macrocosmica che le ha permesso di formarsi — la formicolante, travagliata, civile, ed estenuatissima vita, e vita millenaria, di un popolo sterminato, diversissimo dai nostri; è invece un insieme di gocce d’acqua che dovrebbero rivelarci un oceano e se ne stanno chiuse nelle loro fiale delicate a sottili; è un lampo di madreperla che illumina una tragedia troppo più che individuale per suggerirci parole di quaggiù.
 Attraverso secoli di guerre, di flagelli, di carestie e di orrori, questi pochi poeti, questi in realtà numerosissimi poeti che si contano per dinastie (e sono imperatori a ministri, generali che corrispondono in versi, mogli ripudiate e funzionari in esilio) si sono trasmessi il fior di giada dell’arte loro, l’hanno elaborata a perfezionata, adorna di sensi e supersensi, di parallelismi concettuali e di acuzie tecniche, hanno compiuto insomma prima di noi tutto il ciclo evolutivo e involutivo ai quali ci han reso familiari, in pochi secoli, le maggiori letterature dei nostri paesi. E argomento unico della sterminata efflorescenza sembra essere, a guardar bene, la poesia stessa come stromento e materia di conservazione e di scambio, e l’amor di poesia come entità sopraindividuale, tradizione a bouteille a la mer trasmessa da iniziato a iniziato. Una poesia dunque, ma in particolarissimo senso, civile, sociale, direi quasi umanitaria. Non vi mancano le nostre, del resto relative, partizioni di genere; ma per lo più la lirica a la satira sembrano affiancarsi liberamente in questa vastissima satura, l’epopea vi è quasi sconosciuta, se non l’epos, e la poesia primitiva, essenzialmente popolare, quella del Libro delle Odi (1753 - 600 a. C.) è bastata a Confucio per sdipanarvi le fila dei suoi precetti morali a delle sue interpretazioni allegoriche. Più tardi, poi, con Chu Yuan e i poeti della dinastia dei Han, pur sempre tra squilli di guerra e clangori di battaglia, il mestiere poetico si raffina e cominciano a prevalere le composizioni a forma strofica che la dinastia del T’ang porterà a grande perfezione. Ma fin da allora è presente quel tono di corrispondenza, di confessione, di epistola che resta, per noi ignari dei testi, il tono fondamentale della poesia cinese. Nulla d’implicito in questa lirica di poeti che furono a un certo punto anche pittori a calligrafi; nessun abisso che divida la poesia colta da quella popolare o rimasta senza attribuzione. Le grandi personalità non vi mancano di certo, e i nomi di Chu Yuan, Pao Chao, Li Po, Tu Fu, Po Chu-i non sono noti soltanto agli specialisti; ma tutto appare come sommerso a livellato da un clima, da un gusto che hanno permesso a un solo periodo, quello del T’ang — fiorito da sei a quattro secoli prima di Dante di lasciarci importanti saggi di oltre duemila poeti. Di mano sconosciuta - per esempio il Poema di Magnolia, Ia fanciulla guerriera che solo dopo molti anni di battaglie, di lotte e di vittorie, dimessa l’armatura, stringe i capelli in un nodo, si tinge la fronte di giallo ed esce incontro ai suoi commilitoni che gridano stupiti: “Per dodici anni abbiamo vissuto insieme — senza saper che Magnolia fosse fanciulla! “ fino alla conclusione:


Il coniglio maschio s’acquatta grattando a terra,
La coniglia si guarda attorno con occhi vaghi;
Ma quando entrambi corrono a fior di terra
Chi sa distinguer tra la coniglia e il coniglio?


E anonimi i “19 vecchi poemetti” della dinastia Han che gareggiano in popolarità con le più illustri composizioni dei maggiori.
Se non vogliamo perderci in una selva, o meglio in un labirintico giardino, limitiamoci a rilevare che questa è in complesso una poesia d’amicizia a di deprecazione. Amicizie virili

(Oh! potessi contrarre la superficie del Mondo
Per ritrovarti a un tratto in piedi al mio fianco)

rare le poesie d’amore e innumerevoli le mormorazioni sul malgoverno e sullo sterminio delle guerre; ma non proprio satire nel senso nostro, anche se accenti oraziani e pariniani ci si affaccino curiosamente alla memoria come possibili termini dl confronto; lamenti, piuttosto, di chi non crede possibile di rifar la gente e di riformare il proprio destino. Lamenti di funzionari trasferiti in sedi lontane; di hobereaux che tentano invano di rientrar nelle grazie dei loro implacabili a pur umanissimi Imperatori, anche essi poeti per disgrazia! e perciò poco adatti a infierire sui melodiosi cigni del loro tempo. Non di rado la rassegnazione e l’ironia sono così fuse che sarebbe inutile cercarvi il punto di trapasso (Il letterato chiamato alle armi di Pao Chao:

Or tardi
Mi accodo alla necessità dei tempi;
Dall’alto di una barricata soggiogo remote tribù.
Lascio la sciarpa, indosso una veste di rinoceronte;
La gonna arrotolata, un arco nero a tracolla.
Prima di cominciare mi sento mancare le forze;
Che sarà mai di me, innanzi che tutto finisca?);

e così nel Po Chu-i di Levata all’alba, che alzatosi di buon’ora per rendere omaggio all’Imperatore ruzzola dal cavallo, s’empie di ghiaccioli la barba e l’incipiente calvizie, e manda un memore pensiero all’amico eremita Chen Chu-shih che si sveglia a giorno avanzato ed è libero e padrone di se stesso...”

Un post su Le Trecento poesie Tang.

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