Visualizzazione post con etichetta ispirazioni. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ispirazioni. Mostra tutti i post

mercoledì 24 aprile 2013

Cina. La ceramica Tang




Che succede in Cina nell'epoca T'ang?

Alcune notizie, su questo sito italiano: cronologia.it

E le famose figurine T'ang? La dama a cavallo è in vendita da un antiquario di N.Y. : albertomanuelcheung.com
 
Qualche notizia sulla ceramica T'ang da chinabroadcast.cn, sito apparentemente non più attivo:

"Durante la dinastia dei Tang nel settimo secolo, nacque la ceramica tricroma smaltata. In quel tempo si producevano oggetti di terracotta non solo per la vita quotidiana, ma anche per gli articoli funebri e per decorare l'edilizia. La ceramica tricroma Tang, il cui nome deriva dal fatto che essa è smaltata in tre colori, rosso, verde e giallo, era usata soprattutto nella fattura di oggetti artistici. Successivamente si aggiunsero altri colori come il blu, il nero e il viola.
...
La ceramica tricroma smaltata della dinastia dei Tang ha due evidenti caratteristiche: la plasticità e la qualità dello smalto. Per quanto riguarda la plasticità, i metodi artigianali operano nella ricerca della dinamicità nella staticità e la viceversa, e questo sia per i personaggi che per gli animali; nello stesso tempo si cerca la bellezza delle linee. Prendiamo ad esempio un cavallo: per esprimere la sua immagine dinamica nella posa statica, la testa assume un leggero movimento. Durante la dinastia dei Tang, per quanto riguarda le figure umane si considerava bella una persona grassa. Le figurine Tang pur rappresentando persone floride, tuttavia non sono pesanti e ciò perché, nella fabbricazione, gli artigiani hanno dato risalto alla linearità dei contorni.

Le caratteristiche delle riproduzioni di ceramica Tang consistono nei materiali, in particolare nell'uso di uno smalto metallico a bassa temperatura. Questo smalto possiede una trasparenza vetrosa. Dopo aver plasmato l'oggetto, si passa lo smalto, che ad una certa temperatura si scioglie e fa delle colature naturali, dando un effetto variopinto. Generalmente raggiungere tale risultato è molto difficile in pittura e ancora di più nei prodotti di ceramica e di porcellana. Questo effetto multicolore - elegante e sobrio - è una peculiarità di questi prodotti. Proprio per questo motivo, queste opere vengono considerate dei veri e propri capolavori artistici."

Da www.centralptonews.org


 Da www.metmuseum.org




Da commons.wikimedia.org


Le figurine delle tre foto precedenti, da www.chinapotteryonline.com


Da m.tefaf.com



Da  www.dynastyantique.com


Da www.tkasian.com


La civiltà T'ang era ricca, aperta, multiculturale, piena di esotismi indiani, persiani, occidentali e mille viandanti, mercanti, missionari, artisti arrivavano e partivano da Chang’an, la cosmopolita capitale dei Tang. Le donne dalla bellezza paffuta vi appaiono come protagoniste non defilate.


sabato 20 aprile 2013

Geografi arabi e porcellane cinesi.







Marchand d'étoffes et de porcelaine

Haydar Khwarizmi, Makhzen el-esrar (Trésor des mystères). Copié en 1550.
Manuscrits (Suppl. Turc 978 fol. 41)

Luxe et produits courants

Le grand commerce en Méditerranée consiste surtout en produits de luxe : aromates, écaille, ambre, perles, pierres précieuses, étain de Malaisie, armes des Indes… Dans les comptoirs africains de la côte transitent des esclaves, l’or du Ghana, l’ivoire et des bois précieux exportés vers les grands relais caravaniers du Maghreb*. La Russie et l’Asie centrale fournissent aussi des esclaves et du bois, des fourrures et du miel. D’Extrême-Orient sont importées épices, soieries, pierres précieuses et porcelaines. Un petit commerce transporte d’une étape à l’autre des biens de consommation courants : huile, céréales, poisson salé, produits fabriqués ou exotiques en transit, comme le sel ou les dattes d’Afrique.
Dès le XIe siècle, une partie du trafic d'al-Andalus* et du Maghreb vers la Syrie et l’Égypte est effectuée par des navires étrangers, surtout italiens. Depuis l’Occident musulman ou chrétien, ces derniers exportent de la poix, du fer et d’autres métaux, du bois et des tissus solides comme les draps de laine. En retour, ils importent les produits orientaux de grand luxe si convoités en Europe, des tissus par exemple, nommés d’après leur lieu de production : "damas" de Damas, "baldaquin" de Bagdad, "mousseline" de Mossoul, "gaze" de Gaza.

Da BNF.

Atlante di Idrisi.


La Géographie d'al-Idrîsî propose, au milieu du XIIe siècle, une exploration du monde par un savant arabe vivant à la cour cosmopolite du roi normand Roger II de Sicile. C'est un atlas qui décrit de manière très codifiée les pays, leurs villes principales, leurs routes et leurs frontières, les mers, les fleuves et les montagnes. Al-Idrîsî commente ces cartes en suivant des itinéraires, comme un véritable guide. Il livre des informations de toute nature, géographiques bien sûr, mais également économiques et commerciales, historiques et religieuses. Outre la compilation des connaissances déjà pratiquées par ses prédécesseurs, al-Idrîsî s'est doté d'une méthode pour compléter et vérifier ses informations.



domenica 24 marzo 2013

Cina. I bronzi Shang



Tra i più begli oggetti che io abbia mai visto.

Cominciamo con il citare un sito in francese, che ci faccia sapere chi siano questi Shang.


« La dynastie Shang (environ 1600 - 1100 av. J.C.)



Probablement la plus connue des dynasties chinoises est la dynastie Shang.

Deux des plus importantes contributions de la dynastie des Shang étaient l'usage du bronze et le système d'écriture.

A son apogée, la dynastie Shang occupe un territoire assez vaste dans le cours moyen du Fleuve Jaune. Elle a changé plusieurs fois de capitale.


Les tombes des nobles de Shang enferment quantité d'objets, car les Shang croient que les morts peuvent en profiter dans l'au-delà. Les archéologues ont trouvé dans ces tombes des vases et des coupes servant aux rituels, des armes, des chars de combats avec leurs chevaux et des esclaves sacrifiés pour la circonstance.

Sous la dynastie Shang, la technique de fabrication des objets de bronze est déjà très évoluée. Beaucoup de vases, de récipients et de coupes destinés aux rituels sont en bronze. Ces pièces atteignent parfois des tailles assez imposantes. Cependant, le bronze reste une matière précieuse. Il n'est donc pas encore employé dans la fabrication des outils agricoles. Et, pendant plusieurs centaines d'années, les paysans continuent à travailler à l'aide d'outils en bois ou en pierre.
Parmi les nombreuses découvertes de bronzes antiques, on constate alors une rationalisation des formes en fonction de leur usage. Les bronzes deviennent l'illustration frappante d'une organisation complexe de la société chinoise où les rites touchèrent à la fois le pouvoir et la vie de tous les jours. Les artistes ont brillé par leur créativité pour décorer les récipients, les instruments, les armes et les divers accessoires en métal. »






In questo sito, diverso dal precedente, in inglese, si discetta sui bronzi, dandoci alquante informazioni e illustrazioni; abbiamo anche alcuni schemi con le forme più frequenti assunte dai bronzi, oggetti con funzione rituale.


Anche qui , di nuovo in inglese, varie informazioni e illustrazioni.
Questo è il mostro taotie, ripetuto all’infinito sui bronzi.




dal museo di sanxingdui , bronzi (ed altro).




Ora due immagini, di cui segnalo la fonte: si tratta di siti che non vi invito a visitare, ma che indico per dirvi da dove vengono le immagini.

Da qui



Ancient Sichuan: Bird Head, Bronze, Late Shang, ca. 1200 BC


Da qui



Bronze tiger, Late Shang Period (c. 1200-1050 B.C.)
Jiangxi Provincial Museum, Nanchang

I bronzi venivano usati ritualmente; riti sciamanici che mettevano in comunione gli uomini e le bestie, gli animali guida. Servivano per mescere liquidi e cucinare cibi durante cerimonie.

Un vecchio testo - non antico quanto i vasi, solo del V-IV secolo a. C - parlando dei bronzi dice che gli antichi imperatori fecero estrarre minerali dai monti e dai fiumi per fondere i vasi. Si uccisero fagiani e si invocarono tartarughe perchè i vasi avessero quattro gambe e cuocessero da soli, senza fuoco, si sollevassero senza essere alzati, si muovessero senza essere trasportati, così che si potessero usare nei sacrifici.

Tocco macabro: i raffinati Shang - che iniziarono la scrittura, usarono la seta, scolpirono la giada, produssero la proto porcellana e fusero i mirabili bronzi - attuavano sacrifici umani; in una tomba sono stati trovati fino a 76 cadaveri di uomini che hanno tutto l'aspetto di essere stati sacrificati. E cavalli. Per esempio: carro, due scheletri di cavalli al tiro, uno scheletro umano alla guida.

I Shang sono stati la prima dinastia cinese sufficientemente documentata; prima vennero i misteriosi Xia. Dopo di loro, i famosi - famosi solo dopo la scoperta della tomba con i guerrieri di terracotta - Quin, fulminea dinastia che durò vent'anni, mi pare. Guerrieri di terracotta che alcuni suppongono sostituiscano uomini veri sacrificati.

Vidi i bronzi per la prima volta su un libretto, ARTE CINESE, di Valentino Crivellato, Mondadori 1961. Anche nelle piccole foto in bianco e nero i bronzi risplendono, Valentino canta e loda innamorato, ed io di conserva.

Poi li incontrai di persona in varie mostre:
- la prima a Venezia nell'83, 7000 ANNI DI CINA. Arte e archeologia cinese dal neolitico alla dinastia degli Han, Silvana Editoriale,
- la seconda a Roma nel '93, dieci anni dopo, LA CIVILTA' DEL FIUME GIALLO. I tesori dello Shanxi dalla preistoria all'epoca Ming, Leonardo De Luca Ed.
- poi altre, più recenti.

Dal secondo catalogo, ecco due vasi.
Il primo si suppone dovesse contenere liquidi alcolici; la decorazione è cosituita da due maschere taotie capovolte, che occupano interamente ciascuna delle due facce del vaso. Tra le corna del taotie si nota una cicala dalle lunghe zampe; la cicala rappresenta la resurrezione e la rinascita.

Il secondo vaso si suppone contenesse cereali. La fascia mediana ha ancora due maschere taotie, una per faccia; le maschere sono formate da due draghi affrontati, altri draghi corrono sulla supeficie del vaso.
Già, i draghi. L'estremo oriente è pieno di draghi...




Una piccola riflessione sulle patine. Sono una della componenti del fascino di questi bronzi. Il metallo che cambia, muta, vira verso colorazioni e luminosità impreviste, trasformando l'oggetto. Un brindisi (attingendo dai sacri bronzi dedicati a contenere i vini rituali) agli alchimisti, artigiani, artisti che da sempre cercano di catturare il mistero delle patine, piegarlo al progetto.

Un'altra nota la merita lo sciamnesimo che ha segnato la funzione e l'iconografia di questi bronzi, e che ha accompagnato le libagioni sacre, che avrebbero favorito il viaggio dello sciamano verso il mondo degli spiriti-animali; viaggio per comunicare con loro e contrattare le migliori condizioni tra loro e il suo popolo.
Lo sciamanesimo - una cultura spirituale che ha attraversato i secoli e ha lasciato tracce persistenti presso antichi e moderni popoli del continente eurasiatico – può essere affrontato da diversi punti di vista: le ampie migrazioni dei miti, la rilevanza della tradizione orale, la sintonia uomo-ambiente, la "trance" sciamanica, l'estasi, a confronto di fenomeni storici, ma anche attuali.

Sembrerebbe che, risalendo alle radici della storia, culture che possono essere riferite allo sciamanesimo emergano in un'area molto ampia. Le ricerche sullo sciamanesimo, infatti, hanno inizialmente riguardato le popolazioni ugro-finniche ma, dal confronto tra le tradizioni e i motivi mitologici di vari popoli, da quelli dell’area balcanica e dell’area mediterranea a quelli della Siberia, dagli abitanti delle terre prospicienti l’Adriatico a quelli delle terre intorno al Baltico, è emersa una sorprendente condivisione di miti e credenze, un'antichissima matrice culturale euroasiatica.

Dopo l'epoca Shang, in Cina continua la produzione di bronzi di alto livello - anche se, per alcuni, i bronzi Shang sono di una qualità mai più ripetuta - ma l'esclusiva funzione rituale si perde. I bronzi diventano anche d'uso "quotidiano", per quanto sempre elitario. Non si tratta più di bronzi terrifici dai quali ci guardano animali mostruosi e totemici, di bronzi che camminano da soli e cuociono cibi senza fiamma, che si sollevano, che volano, che ci accompagnano nell'altro mondo.

Mettiamo che ci si volesse raccappezzare; sul sito Chinese grafic art (volendo, anche in cinese), si può acquisire qualche nota su tutte le dinastie

Per esempio, quanto ai Shang si dice:

There are three things to know about the Shang: one, they were the most advanced bronze-working civilization in the world; two, Shang remains provide the earliest and most complete record of Chinese writing (there are a few Neolithic pots that have a few characters scratched on them; however, a few characters do not a complete writing system make), scratched out on the shoulder blades of pigs for oracular purposes; and three, they were quite possibly the most blood-thirsty pre-modern civilization. They liked human sacrifice -- a lot. If a king died, then more than one hundred slaves would join him in the grave. Some of them would be beheaded first. Some of them were just thrown in still alive. Later dynasties replaced the humans with terra-cotta figures, resulting in things like the underground army. They also did things like human sacrifice for building consecrations and other ceremonial events. The Shang had a very odd system of succession: instead of a patrilineal system where power was passed from father to son, the kingship passed from elder brother to younger brother, and when there were no more brothers, then to the oldest maternal nephew.

Ancora sui Shang, notizie da National Geographic



che ci dice, tra l'altro, commentando queste teste:

Experts had long believed that the Yellow River plain was the cultural hub of early China. But in 1986 when a trove of artifacts—including some 50 bronze heads such as these—were unearthed nearly 700 miles (1,000 kilometers) to the southwest in Sanxingdui, the experts realized they were wrong: China had not one ancient center but many. Creating such totems required great technical sophistication because bronze is a tough material to work, says Robert Murowchick, a professor of East Asian archaeology and anthropology at Boston University. "The discovery of these heads," he says, "was a very big deal because it is forcing us to rethink our understanding of early civilizations in ancient China."

Ecco ancora lo stesso inressante signore da qui



Bronze human head with gold leaf, Late Shang Period (c. 1300-1100 B.C.)
Sanxingdui Museum, Guanghan

Eastern Zhou (771 - 256 BC)
Spring & Autumn Period (722 - 481 BC)
Warring States Period (403 - 221 BC)

Ecco due bronzi di grande bellezza, del periodo successivo alla dinastia Shang.

Se lo cercate nel link prima suggerito sulla sequenza delle dinastie, cliccate su Eastern Zhou, troverete il periodo Primavere e Autunni, e quello dei Regni Combattenti. Come si intuisce, succede un gran casino, niente poteri centrali, e botte da orbi. Ma si contiunua a fondere bronzi.

Vaso rituale del periodo Primavere e Autunni, raro in quanto tale ed eccezionale nella fattura. Inclinando il vaso, il becco si apre. L'uccello è sostenuto da una piccola tigre che lo puntella da dietro e che si intravvede. Da 'La civiltà del fiume giallo' cit.




Vaso rituale del periodo Regni Combattenti: un rinoceronte di bronzo, ageminato d'argento e d'oro; il corpo è cosparso di decorazioni a nuvola"; tra una nube e l'altra, si intravvedono realistiche setole... Il liquido esce da una cannula posta sul lato destro della bocca. C'erano allora rinoceronti in Cina? Sì, c'erano. Sia rinoceronti, che elefanti. L'artista l'ha visto bene. Da '700 anni di Cina' cit.

lunedì 11 marzo 2013

Cineserie. Confini: isolamento, stranieri, permeabilità, conflitti, ibridazioni.

Un imperatore con 120 figli banchetta per celebrare la conquista dell’impero e guarda, con una qualche stretta al cuore, al futuro. La Cina ha sempre confini ingovernabili, immensi, permeabili, mobili, minacciosi. L’estraneo è sempre alle porte e sempre in casa. A volte come nemico, a volte come dominatore, a volte come colui con cui si scambia.

Il Giappone spesso, forse sempre, riesce ad essere un’isola. Potremmo dire un’isola-spugna pulsante, che ogni tanto assorbe tutto, ogni tanto si strizza e si asciuga da tutto ciò che la circonda. Nel periodo Heian, quello di Dama Murasaky, la spugna era stata strizzata, le ambasciate con la Cina interrotte, i confini chiusi, la corte rinserrata, e si viveva una perfetta vita aristocratica e chiusa, con il mondo che finiva con il – basso, un metro e ottanta contro i sei o i dieci della capitale cinese – giro di mura della capitale, Heian, appunto. Un orlo simbolico, più che una potente difesa.

Tutt'altro, come dicevo, la Cina. Prendiamo il libro "Liriche cinesi" e leggiamo:

“Dinastia dei Han (206 a. C. – 220 d. C.)

E’ una delle più ricche di poesia della storia cinese. Kao Tzu, il fondatore di questa dinastia, di ritorno al suo paese dopo aver conquistato l’Impero, diede un grande festino a cui prese parte con i suoi 120 figli e compose per l’occasione la Canzone del Grande Vento nella quale c’è già un’accorata previsione del futuro.
[…] Le poesie Han servirono da modello a tutte le epoche successive, sia nella forma che nella scelta dei soggetti.

[…]

CANTO DEL GRANDE VENTO

Il grande vento si leva
E le nuvole salpano –
Ho esteso la mia potenza
Per l’universo intero
E torno alla terra natale.
E ora, come trovare
Gli eroi che dovranno vegliare
Su tutte le mie frontiere?


Kao Tzu (247 – 195 a.C.)”


Due poeti guerrieri - Li Ling e Su Wu - dell'epoca Hang vennero fatti prigionieri dagli Unni; dopo 19 anni Su Wu venne liberato. Ma Li Lig, invitato a seguirlo, si alzò e si mise a cantare, ballando:

Venni per diecimila leghe - attraverso deserti di sabbia - al servizio del mio sovrano - per spezzare le schiene degli Unni. - la mia via è bloccata e sbarrata - spezzate le frecce e la spada - la mia armata è svanita - e la mia fama perduta. - La mia vecchia mamma è morta da tanto termpo. Vorrei compiacere il mio principe - ma come posso tornare?


Tanto le note tra virgolette come le poesie provengono da “Liriche cinesi”, op. cit.

Quanto alla calligrafia, insisto: poesia, pittura, calligrafia sono un tutt'uno. Chissà come l'aveva scritta, l'imperatore Kao, la sua canzone.








This painting, which has been traditionally attributed to Yen Li-pen, depicts the 631 AD arrival in the capital of Ch'ang-an of 27 tribute bearers from various states. Their plentiful gifts for the powerful T'ang court have been carefully depicted. These visitors from foreign lands are represented with high foreheads, deep-set eyes, and exotic clothing. This is an excellent example of how a painting can illustrate historical records.


A un certo punto le cose si erano confuse al punto, che i Mongoli divennero imperarori.




Mongol Rider with Administrator (detail)
China, Yuan dynasty
color on silk

Da qui.

Per vedere il magnifico nemico dipinto da se stesso, guardiamo le miniature del Turkestan (conservate al Topkapy) epoca Timuride, contemporanea dei Ming; molti secoli dopo il nostro imperatore poeta, ma i confini continuano ad essere permeabili e incerti, confusi tra amico e nemico.




Cineserie. Li Po

LI PO (? – 762) considerato il massimo poeta lirico cinese.

Bevendo da solo sotto la luna

Tra i fiori, a una brocca di vino
sono io solo, non un amico con me.
Ma levo il bicchiere, e invito la luna,
poi l’ombra di fronte. Noi siamo in tre.

Luna che bere non sai,
ombra che per tua natura segui il mio corpo.
Ora questa è la compagnia, la luna e l’ombra che dà,
e sono lieto fin ch’è primavera.

Se canto vibra la luna su e giù,
se danzo balza l’ombra confusa.
Finché il senno è desto, tutti lega scambievole gioia,
poi gravato d’ebbrezza ciascuno vuole andare diviso…

Ma eternamente voi mi accompagnate nel mio vagare senza sentimento.
Insieme nell’ora ci ritroveremo lontano nel Fiume delle Stelle.

(il fiume delle stelle è la via lattea)


Ecco ora un link su LI PO, o LI BAI, con altre poesie e note (in italiano)
li bai

Da un sito sulla pittura cinese classica http://www.chinapage.com/paint1.html
 un LI PO che se ne va a spasso.

Di Liang Kai - Southern Song Dynasty, 13th century

mercoledì 20 giugno 2012

Monastero Reale di Brou. Margherita d'Austria

Sono anni che incrocio questa madama. E' passato molto tempo, infatti, quando venni per la prima volta a Brou. Ed è passato molto tempo prima che mi convincessi che dovevo impicciarmi un po' di più di chi fosse quella che veniva presentata come costruttrice della gotica chiesa di Brou e delle sue tombe rinascimentali, in un romanzo di amore e morte ove quel monastero - mausoleo assumeva le veci di un Taj Mahal, dove però questa volta a sopravvivere inconsolabile era la vedova.

Ricordo, dalle precedenti visite, un luogo molto più "piccolo". Si visitavano le sole tombe, a tutto il complesso dei tre chiostri non si accedeva, e mancava il formidabile tetto a punta lucente di smaglianti, colorate piastrelle, frutto di un restauro conclusosi nel 1999 che è tornato a rendere gotico, aguzzo e variopinto ciò che il tempo e la voglia di risparmiare avevano ottuso e scurito, quando vecchiaia e marciumi avevano convinto i monaci, che allora vi abitavano ancora, che bisognava pur fare qualche rattoppo, ma rassegnandosi alla perdita delle tegole originarie e accorciando le malridotte travature, ottenendo così una scura copertura mansardata.

Ho quindi affrontato l'ostacolo delle complesse genealogie, maledette nel ripetersi dei dinastici nomi sempre uguali che confondono le idee, che hanno attraversato la nascente Europa mentre usciva dal medioevo e si andavano creando, tra rigurgiti tribali, matrimoni e guerre, le nazioni cui nel frattempo ci siamo abituati. E ho scoperto che Margherita non solo era bionda, vedova, principessa, cattolica, e che con quelle nazioni non aveva niente a che fare, perché quelle si stavano appunto formando mentre lei era ancora erede di una cultura aristocratica assai più trasversale e imperialistica, ma soprattutto che era proprio una zia, una vera a propria zia.

Zia di Carlo V, prima di ogni altra cosa (ha pure Francesco I come nipote, pensate un po'; ma di quello non si cura). Il nipotino, del quale a Brou resta un ritratto in cui è assai virgulto, giovane, esile, roseo, svagato, dotato di un ampio cappello a frittella poggiato sulla zazzera squadrata, di un mento molto puntuto e una semiaperta bocca tumida dal labbro inferiore sporgente (anche lei del resto non era priva di una certa bazza asburgica), resta infatti presto orfano del padre Filippo il Bello, fratello maggiore di Margerita, che ha avuto dalla moglie Giovanna la Pazza, che nel frattempo viene relegata in prigionia e tolta di mezzo, ben sei figli di cui lui, Carlo, è il maggiore. Massimiliano d'Asburgo, il padre di Margherita e Filippo, nonno di Carlo, affida lui e i fratelli alla figlia, che si occuperà dell'incarico più che coscenziosamente.

Ecco Carlo, di Bernard van Orley, nel quadro conservato nel museo di Brou. L'immagine, da flikr




Margherita nasce a Bruxelles nel 1480. I genitori sono Massimiliano d’Asburgo imperatore, appunto, e Maria di Borgogna, l’unica figlia dell’ultimo granduca, Carlo il Temerario.

La pupa Margherita resta presto priva della mamma, che muore a venticinque anni per una caduta da cavallo, e a soli tre anni sposa Carlo Delfino di Francia, poi Carlo VIII, che però quando lei ne ha 11 la ripudia per sposare Anna di Bretagna, diventata più conveniente alle sue mire di conquista di regni e territori. C'è un ritratto di Margherita a tre anni, da "fidanzata", in cui è vestita di tutto punto, con un capello a pan di zucchero di panno nero su cui è appuntato un gran gioiello e la faccetta dura da chi sta già stringendo i denti.



L'immagine, da qui.



Qui è ancora bambina e ancora "regina di Francia"; ha infatti dieci anni. Di nuovo pare non divertirsi per niente. Il dipinto è di Jean Hey’s, detto anche Maestro di Moulins; il quadro è al Metropolitan Museum of Art, New York.

Dopo poco dovrà riprendere a cavarsela in un percorso disseminato di attentati alla superbia aristocratica, alla vita, ai possessi faticosamente accumulati dalla sua famiglia.

Nel 1497, ancora giovanissima, sposa Juan di Castiglia, che muore pochi mesi dopo. Resta un paio di anni con la suocera, Isabella (quella della biancheria, o se si vuole di Cristoforo Colombo); quindi nel 1501 sposa Filiberto di Savoia, detto pure lui il Bello (sospetto che a quell'epoca ogni giovane aristocratico alto e forte, in buona salute, fosse festeggiato con quell'aggettivo) che ha un grande ducato che va a nord da Burg en Bresse a Ginevra, a sud da Nizza a Torino e una certa voglia di divertirsi in cui coinvolge la moglie. Tre anni dopo anche lui muore, dopo una gran sudata fatta andando a caccia e una bevuta di acqua gelida da una fonte falsamente ristoratrice. Lei ha 25 anni.

Venticinque anni prima la suocera, chiamata anche lei Margherita, aveva fatto un voto: il marito aveva avuto un incidente di caccia; se fosse guarito, lei avrebbe fatto edificare una chiesa a Brou. Il marito era guarito. Era passato del tempo, la suocera era morta e non se ne era fatto nulla. Margherita interpreta la morte di Filiberto come un segno del cielo in risposta al mancato voto. Si accinge all'impresa di far costruire il convento.

Intanto, divenuta tutrice di Carlo e dei fratelli, lascia la Savoia e va a fare la reggente dei Paesi Bassi, a Malins. Lo sarà per 25 anni. Muore nel 1530, due anni prima della morte di Carlo V e della fine dei lavori di Brou, alla cui costruzione partecipa intensamente, valutando progetti e scegliendo artefici, ma che non vedrà mai.



Questo è il ritratto di una rosea Margherita in abiti da vedova - li porterà fino alla morte - di Bernard van Orley, conservato nel museo di Brou, Bourg-en-Bresse. Eccola infine distesa e sorridente. Il ritratto è del 1518, mentre quello di Carlo è del 1516. In pratica, coevi. Possiamo immaginarci le facce dei giovani zia e nipote a confronto, mentre lei gli dà gli immancabili buoni consigli.
L'immagine, da linternaute.com



Questo ritratto, assai vicino al precedente, ma meno roseo, è di pure di Bernard van Orley; dal Musée Royaux des Beaux Arts di Brüssel; l'immagine da wikipedia.

Quest'altra immagine, da un libro miniato dedicato alla genealogia di Carlo V. Riporta, oltre che le pertinenti margherite, il suo celebre motto: Fortune Infortune Fort Une. La fortuna importuna assai una donna. Ma anche: la sorte, sia buona che cattiva, rende forte una donna.

L'immagine da larusse.fr

martedì 19 giugno 2012

Cina. La lirica cinese e cosa ne pensava Montale.


Court Lady with Flowers, Zhou Fang, Tang Dynasty, silk
Da chineseteaceremony.eu



Uno stralcio dalla prefazione di Eugenio Montale a Liriche cinesi (1753 a.C. – 1278 d. C.), Einaudi, Torino 1955:

“[…] il vasto, secolare paesaggio che ci si apre dinanzi agli sguardi ci lascia ancora una volta privi di riferimenti e, pur nell’ammirazione, disorientati.
 Questa poesia non è un microcosmo che riveli e illumini perfettamente l’entità macrocosmica che le ha permesso di formarsi — la formicolante, travagliata, civile, ed estenuatissima vita, e vita millenaria, di un popolo sterminato, diversissimo dai nostri; è invece un insieme di gocce d’acqua che dovrebbero rivelarci un oceano e se ne stanno chiuse nelle loro fiale delicate a sottili; è un lampo di madreperla che illumina una tragedia troppo più che individuale per suggerirci parole di quaggiù.
 Attraverso secoli di guerre, di flagelli, di carestie e di orrori, questi pochi poeti, questi in realtà numerosissimi poeti che si contano per dinastie (e sono imperatori a ministri, generali che corrispondono in versi, mogli ripudiate e funzionari in esilio) si sono trasmessi il fior di giada dell’arte loro, l’hanno elaborata a perfezionata, adorna di sensi e supersensi, di parallelismi concettuali e di acuzie tecniche, hanno compiuto insomma prima di noi tutto il ciclo evolutivo e involutivo ai quali ci han reso familiari, in pochi secoli, le maggiori letterature dei nostri paesi. E argomento unico della sterminata efflorescenza sembra essere, a guardar bene, la poesia stessa come stromento e materia di conservazione e di scambio, e l’amor di poesia come entità sopraindividuale, tradizione a bouteille a la mer trasmessa da iniziato a iniziato. Una poesia dunque, ma in particolarissimo senso, civile, sociale, direi quasi umanitaria. Non vi mancano le nostre, del resto relative, partizioni di genere; ma per lo più la lirica a la satira sembrano affiancarsi liberamente in questa vastissima satura, l’epopea vi è quasi sconosciuta, se non l’epos, e la poesia primitiva, essenzialmente popolare, quella del Libro delle Odi (1753 - 600 a. C.) è bastata a Confucio per sdipanarvi le fila dei suoi precetti morali a delle sue interpretazioni allegoriche. Più tardi, poi, con Chu Yuan e i poeti della dinastia dei Han, pur sempre tra squilli di guerra e clangori di battaglia, il mestiere poetico si raffina e cominciano a prevalere le composizioni a forma strofica che la dinastia del T’ang porterà a grande perfezione. Ma fin da allora è presente quel tono di corrispondenza, di confessione, di epistola che resta, per noi ignari dei testi, il tono fondamentale della poesia cinese. Nulla d’implicito in questa lirica di poeti che furono a un certo punto anche pittori a calligrafi; nessun abisso che divida la poesia colta da quella popolare o rimasta senza attribuzione. Le grandi personalità non vi mancano di certo, e i nomi di Chu Yuan, Pao Chao, Li Po, Tu Fu, Po Chu-i non sono noti soltanto agli specialisti; ma tutto appare come sommerso a livellato da un clima, da un gusto che hanno permesso a un solo periodo, quello del T’ang — fiorito da sei a quattro secoli prima di Dante di lasciarci importanti saggi di oltre duemila poeti. Di mano sconosciuta - per esempio il Poema di Magnolia, Ia fanciulla guerriera che solo dopo molti anni di battaglie, di lotte e di vittorie, dimessa l’armatura, stringe i capelli in un nodo, si tinge la fronte di giallo ed esce incontro ai suoi commilitoni che gridano stupiti: “Per dodici anni abbiamo vissuto insieme — senza saper che Magnolia fosse fanciulla! “ fino alla conclusione:


Il coniglio maschio s’acquatta grattando a terra,
La coniglia si guarda attorno con occhi vaghi;
Ma quando entrambi corrono a fior di terra
Chi sa distinguer tra la coniglia e il coniglio?


E anonimi i “19 vecchi poemetti” della dinastia Han che gareggiano in popolarità con le più illustri composizioni dei maggiori.
Se non vogliamo perderci in una selva, o meglio in un labirintico giardino, limitiamoci a rilevare che questa è in complesso una poesia d’amicizia a di deprecazione. Amicizie virili

(Oh! potessi contrarre la superficie del Mondo
Per ritrovarti a un tratto in piedi al mio fianco)

rare le poesie d’amore e innumerevoli le mormorazioni sul malgoverno e sullo sterminio delle guerre; ma non proprio satire nel senso nostro, anche se accenti oraziani e pariniani ci si affaccino curiosamente alla memoria come possibili termini dl confronto; lamenti, piuttosto, di chi non crede possibile di rifar la gente e di riformare il proprio destino. Lamenti di funzionari trasferiti in sedi lontane; di hobereaux che tentano invano di rientrar nelle grazie dei loro implacabili a pur umanissimi Imperatori, anche essi poeti per disgrazia! e perciò poco adatti a infierire sui melodiosi cigni del loro tempo. Non di rado la rassegnazione e l’ironia sono così fuse che sarebbe inutile cercarvi il punto di trapasso (Il letterato chiamato alle armi di Pao Chao:

Or tardi
Mi accodo alla necessità dei tempi;
Dall’alto di una barricata soggiogo remote tribù.
Lascio la sciarpa, indosso una veste di rinoceronte;
La gonna arrotolata, un arco nero a tracolla.
Prima di cominciare mi sento mancare le forze;
Che sarà mai di me, innanzi che tutto finisca?);

e così nel Po Chu-i di Levata all’alba, che alzatosi di buon’ora per rendere omaggio all’Imperatore ruzzola dal cavallo, s’empie di ghiaccioli la barba e l’incipiente calvizie, e manda un memore pensiero all’amico eremita Chen Chu-shih che si sveglia a giorno avanzato ed è libero e padrone di se stesso...”

Un post su Le Trecento poesie Tang.

venerdì 15 giugno 2012

Libro de cocina e Suor Juna Inéz de la Cruz.



Suor Juana Inés de la Cruz (1651–1695).
Artista sconosciuto.

Questa è la poetessa che regala castagne. Una poetessa molto importante per la storia della letteratura messicana.

Qualcuno, collocandolo molto al margine della sua produzione, che era di tutt’altro tipo, le attribuisce anche un libro di cucina. Libro manoscritto nel XVIII secolo nel Convento de San Jerònimo a Ciudad de Mexico, ma che forse riprende ricette di un secolo prima, quando in quel convento visse suor Juana. Ricette, ad esempio, come queste.

Stufato di pollo.
Fa’ un trito di pollo, fallo bollire e insaporiscilo con tutte le spezie. Quindi, disporrai di una casseruola imburrata uno strato di fette di pane tostate, su cui verserai un po’ di vino, e un altro strato di panna spolverata di cannella, chiodi di garofano e pepe. Procederai in questo modo fin quando la casseruola non sarà piena, badando che l’ultimo strato sia di fette di pane. Allora verserai il brodo rimasto, aggiungendo sopra il tutto uno strato di tuorli d’uovo sbattuti.

Dolce di burro e zucchero.
Preparato lo sciroppo con 2 libbre di zucchero, gli si aggiungono 3 bei panetti di burro. Si prendono 4 scudi di pan di Spagna, tagliato a fette, e si alternano sul vassoio uno strato di pan di Spagna e un altro di composto a base di sciroppo, fino a riempirlo. Poi si sbattono i tuorli d’uovo e acqua di fiori d’arancio, si versa il tutto sopra una pentola piena d’acqua calda, finché i tuorli non si saranno rassodati. Si lascia raffreddare e si mettono sopra uva passa, pinoli, mandorle e confettini colorati.

Dolce alla panna.
In parti uguali, panna e uova i cui tuorli siano stati sbattuti con l’aggiunta di zucchero a piacere, sale e cannella pestata. Si imburra una casseruola e vi si versa il composto sbattuto, per poi metterlo sul fuoco finché non si sia asciugato.

Dolce alle noci.
Per un piatto di media grandezza, mezza libra di noci, due scudi di mandorle, uova, ma solo i tuorli. Una volta che sia stato portato a mezza cottura uno sciroppo di due libbre di zucchero, vi si aggiunge tutto il resto ben pestato, mentre le uova vanno aggiunte sbattute quando si sta raggiungendo la prima cottura. Si versa sopra strati di pan di Spagna e si guarnisce con uva passa, mandorle e pinoli.

Il traduttore Angelo Morino ci dice che in realtà le ricette non parlano di pan di Spagna, ma di mamon, un dolce messicano che per altro afferma essere molto simile al pan di Spagna.

Il libro di cucina di Juana Inés de la Cruz. Angelo Morino, Sellerio, Palermo 1999.

Il ritratto di Suor Juana viene da qui.

***************************



Juana dona castagne spinose alla Viceregina

il poemetto introduttivo del Libro de Cocina

una sicura poetessa e un'improbabile cuoca

giovedì 14 giugno 2012

Juana Inéz de la Cruz dona castagne spinose


Una poetessa messicana del XVII secolo dona castagne a un'amica amata.

Lysi, alle tue belle mani
dono castagne spinose,
perchè dove abbondan rose
non posson mancare spine.
Se tendi alla loro asprezza
e con questo il gusto inganni,
perdona la rustichezza
di chi te le regalò;
perdona, ché questo riccio
solo può donar castagne.


Juana Inés de la Cruz (1648-1695)
Versi d'amore e di circostanza. Einaudi, Torino 1995.
Le poesie furono scritte per María Luisa Manrique de Lara y Gonzaga, contessa di Paredes, marchesa di Laguna e viceregina del Messico dal 1680 al 1688.

da qui.

L'immagine è tratta da:
I mai visti. Sorprese di frutta e fiori. Capolavori dai depositi degli Uffizi. Giunti, Firenze 2002

Per una poetessa barocca e la sua viceregina, un dipinto di una pittrice olandese del medesimo secolo.

**************
altri post su Juana:

Juana dona castagne spinose alla Viceregina

il poemetto introduttivo del Libro de Cocina

una sicura poetessa e un'improbabile cuoca

**************

Rachel Ruysch
(Amsterdam 1665-1750)
Frutta e insetti, particolare.

mercoledì 13 giugno 2012

Juana Inéz de la Cruz. Il poemetto introduttivo del Libro de cocina



Obbedendo, sorella, al mio amor proprio,
ho voluto dar forma alla scrittura
di un Libro di Cucina e, che sciagura,
solo ho mostrato quanto male copio.
Non è servito a porvi zelo proprio
a renderlo un esempio di bravura,
perché, mancando a me genio e cultura,
un sol rigo non c’è che non sia improprio.
Così, sorella, è stato, ma qual passo
potrà mai far chi, troppo imprevidente,
fu travolta da zelo sì smargiasso?
Che può far? Supplicarvi che, indulgente,
perdonando un omaggio tanto crasso,
accogliate il suo pegno irriverente.


Un antico Libro de Cocina, ovvero una raccolta di ricette del XVIII secolo, attribuito con molte incertezze alla poetessa messicana suor Juana Inès de la Cruz, viene preceduto e introdotto da un poemetto a sua volta attribuitole, questo.

E’ un poemetto pieno di retorica umiltà, che rovescia a piene mani improperi sulla scrivente: lei non fa che copiare, e per di più lo fa male; manca di cultura e di genio, ogni rigo che scrive è improprio, nello scrivere è spinta dall’amor proprio e travolta da smargiasso zelo, e alla fine non ha prodotto che un crasso, irriverente omaggio, che con questo poemetto consegna a un’anonima “sorella” del convento di San Geronimo. Certamente la retorica dell’umiltà è nota e praticata anche da Juana – ricordiamo il poemetto in cui dona castagne a un’amica, dove si paragona a un riccio, animaletto spinoso - ma qui è quasi grottesca nella sua accentuazione.

Confrontiamo questa umiltà con il fatto che Juana Inès fu nella sua epoca definita “fenice del Messico”, “decima musa”, “unica poetessa americana”. Fu autrice dei primi testi di letteratura coloniale spagnola che arrivarono in Spagna e vi si imposero.

La sua storia fu alquanto particolare e drammatica: bimba e fanciulla prodigio, letterata e studiosa nonostante un’epoca che non prevedeva per niente donne con questa identità, rifugiatasi in convento per studiare in pace, finì la sua vita tra pentimenti di aver tanto osato e aggressioni di vescovi. Può darsi fosse per questa fine drammatica, accompagnata dalla dispersione della sua biblioteca e dalla pubblica rinuncia agli studi, ma dopo morta venne rapidamente dimenticata. Un secolo dopo, quando il Libro de Cocina venne scritto, forse copiando un testo di un secolo prima, chissà se si ricordavano di lei solo nel suo convento. Certo che nel poemetto tutto quel fustigare l’arroganza di chi lo scriveva sembra alquanto irriverente verso Juana, la superba scrittrice che i vescovi avevano dovuto piegare. E che qui si presenta come una copiatrice di ricette scritte alla bell’e meglio, di cui ho dato un piccolo saggio in un altro post.

Per sottolineare il contrasto tra l’umile libercolo di ricette e la fama della poetessa, la presento raffigurata in un ritratto molto celebrativo, che per quanto ne so è meno conosciuto dei suoi soliti nei quali appare nel proprio studio tra i libri, e dove appare abbigliata di sete e trapunta di perle come una Madonna barocca, con accluso bambinello in mano. Tutto questo fasto ricamato mi ricorda uno dei più bei luoghi di Madrid, il convento delle Descalzas Real, che rigurgita ancora oggi di questo mondo conventuale femminile e barocco, dove tra dolci, giocattoli e santi (anche belli e bellissimi nel loro essere raffigurati in legno dipinto dai magnifici scultori spagnoli) il confine è lieve e incerto.

Il poemetto è stato trodotto da Angelo Morino.
Angelo Morino, Il libro di cucina di Juana Inés de la Cruz, Sellerio, Palermo 2000.


Il dipinto viene da qui.

++++++++++++++++++++++++



Juana dona castagne spinose alla Viceregina


una sicura poetessa e un'improbabile cuoca

martedì 12 giugno 2012

Juana Inés de la Cruz. Una sicura poetessa e un'improbabile cuoca



Molti di noi – io per esempio – di lei non ne sanno un accidenti, poiché spingere lo sguardo entro foschie lontane come le letterature latino americane, peggio ancora se femminili e barocche, è cosa veramente avventurosa e stravagante. Tuttavia, san web ci dimostra, se cerchiamo notizie di tal Juana Inés de la Cruz, che la rete pullula di celebrazioni e rimembranze di questa donna, famosa – si scopre – per ricchi e molteplici talenti e pateticità romantica e drammatica di vita, tutte cose che non guastano quando si vuole passare ai posteri.

A me per altro Juana era già arrivata per un’altra via, un libretto dono dell’amico GianniM che ancora ringrazio.

Angelo Morino, Il libro di cucina di Juana Inés de la Cruz, Sellerio, Palermo 2000.

Si tratta di un libretto Sellerio – e chi sennò – che presenta una strana mescolanza tra due anime.

Da un lato c’è la trascrizione del XVII secolo di un libro di cucina che forse è del secolo precedente. E’ un libro di un convento messicano, anzi più che un libro un insieme di appunti, che riporta ricette buttate giù alla buona, dove si intuiscono macchie di burro e patacche di rosso d’uovo. Le ricette grondano di dolci speziati e profumati, di mandorle e cannella, di confetti colorati, e portano con sé, nonostante lo stile scarno e approssimativo delle note scritte in fretta, puro pro memoria anche un po’ sgrammaticato, l’irresistibile aura fascinosa della cucina di convento femminile, dove tanti dolci si tramandarono, covarono e nacquero e tante tradizioni si ritesserono attraversando spregiudicatamente religioni e culture diverse.

Dall’altro c’è un piccolo saggio su Juana, che in quello stesso convento fu monaca, scritto con lo stile della noterella affettuosa dal traduttore Angelo Morino, professore di letteratura latino americana.

Nel saggio Morino si trova con due oggetti, le ricette da un lato, la vita di Juana e le sue opere dall’altro, che si incrociano alquanto pretestuosamente, e si adopera a metterli insieme.



Qui non si capirebbe più una parola, però, se non si fa breve premessa su Juana. Bambina illegittima e insieme bambina prodigio, che prestissimo a da autodidatta (l’unico modo allora concepibile per una femmina) si appropria di una quantità di saperi a vasto raggio, fino a diventare una novella Caterina d’Alessandria. Nota nella sua epoca, non solo in Messico, per scienza, brillantezza di ingegno e virtuosismo appassionato nel versificare, viene introdotta da intima e pupilla di viceregine nella corte dei vicerè. Come Caterina, tuttavia, è a rischio elevatissimo di diventare santa mediante taglio della testa per via delle diffidenze e rabbie e invidie che tale eccezionale femminile percorso suscitò. Dopo un periodo privilegiato in cui scambiava doni con le viceregine, e con una in particolare con cui si amò così ardentemente da mettere in imbarazzo tutti (forse più oggi che allora, però), tornate le sue protettrici in Spagna, venne presa nelle grinfie di vescovi che non la mollarono fino a che, dopo strenua, brillante a tutt’oggi ammiratissima letteraria difesa, lei non capitolò su tutta la linea, firmando la lettera del suo pentimento con il suo stesso sangue e disperdendo la ricca biblioteca – una delle più cospicue del suo paese – per venderla a favore dei poveri. L’accusa era di scrivere di cose profane, cosa nella quale la nostra per altro tanto si distinse da essere considerata il maggior poeta barocco del Messico e uno dei massimi di tutte le epoche per quel paese.



Ancora non ho detto, però, tutto ciò che serve. Torniamo alle vicende della sua vita. Juana non volendo sposarsi e nella speranza di trovare un rifugio tranquillo, a sedici anni andò in convento a farsi suora e lì visse fino alla morte, per ventisette anni. Un convento confortevole e pieno di chiacchiere, come ce n’erano allora. Ogni monaca aveva una casetta con tutti i servizi e volendo portava con sé, come Juana fece, una schiava. C’era inoltre un vasto personale di servizio in comune che moltiplicava le presenze e faceva di quei conventi cittadelle femminili piene di visite, di conversazioni e di ricevimenti a base di dolci. Lei un po’ si scocciava perché a quanto pare voleva starsene sempre a scrivere e studiare, tuttavia ci stette bene, credo, finché ci furono le sue viceregine con cui farsi le visite scambiare doni. Le viceregine non so cosa le mandassero, ma lei mandava rose appena colte e qualche volta anche torte, per esempio di noci. Tutto, ovviamente, accompagnato da scintillanti poesie.

Una volta Juana scrisse che le donne non possono fare che filosofie di cucina, ma disse anche che se Aristotele avesse cucinato, avrebbe scritto di più.

Questa battuta era rivolta a un uomo nemico. Si tratta del cattivissimo vescovo che, andate via le viceregine amiche sue, si era buttato su di lei con quell’accusa di trasgressione che in seguito avrà grande efficacia, portandola alla dichiarazione di pentimento e al silenzio. Qui però Juana ancora si difende. E sfida il vescovo a pensare spregiudicatamente (massimo peccato per un vescovo). Mettendo insieme Aristotele il sommo e la bassa pratica di cucina affidata alle donne, proponeva al vescovo – quanto è barocco tutto ciò – che la congiunzione trasgressiva e sorprendente avrebbe giovato a rendere più frizzante il pensiero dell’eccelso filosofo, più produttivo il suo calamo. C’era anche l’allusione non tanto velata che un contributo di umile donnità (lei) proposta provocatoriamente come odorosa di fritti, intrisa di cucina, alla superba mascolinità (Aristotele, ma anche il vescovo) avrebbe certo giovato a quest’ultima.



Vediamo se dopo tutto questo premettere posso tornare al libretto di Sellerio dove Morino tenta di tenere insieme ricette e poetessa.

Che materiale si trova davanti Morino? Una certa tradizione dice che il libro di ricette fu scritto da Juana, c’è pure un poemetto attribuito a lei per introdurlo e la sua firma a concluderlo. Ma l’epoca del manoscritto non è quella di Juana, è stato scritto cento anni dopo. Le ricette sono veramente pochissima cosa se considerate nella loro scrittura, e lo stesso poemetto zoppica, come mai gli autografi della nostra. Soprattutto Juana era non solo raffinatissima scrittrice, ma, lo deduciamo da ciò che lo stesso Morino ci dice, massimamente snob. Ce la vedete a scribacchiare trasandate notarelle di farina e di uova senza nemmeno pensare alla grammatica?

Marino aveva due strade, a quanto posso capire.

Una era quella di fare un’analisi del perché nasce una tradizione che rifila le ricettuzze a Juana. Un’ulteriore mortificazione dell’altezzoso spirito? Una manovra degli eredi dell’invidioso vescovo? Avrebbe avuto un bel romanzo da fare, e forse una ricerca negli archivi. Però, si chiude questa via dicendo che dopo cento anni dalla morte, quando viene scritto il libro di ricette, Juana era dimenticata; chi poteva avercela con lei?

L’altra era quella di sostenere la possibilità di attribuire il libro di ricette alla coltissima suora. Questa è la strada che Marino sceglie. Ci dice che forse, giocando con le consorelle, rilassandosi in qualche pomeriggio di ozio, Juana potrebbe aver copiato le ricette, così, per scherzo. Aggiunge che è vero che sono mal scritte, ma che alla fin fine la nostra era autodidatta; qualche erroraccio, qualche sgrammaticatura le poteva pur scappare. Non credo che questo commento sarebbe piaciuto a Juana.

Ci sono altri due post su Juana:

Suor Juana Inés de la Cruz. Il poemetto introduttivo al Libro de Cocina.

Juana Inés de la Cruz dona castagne spinose.



La prima immagine di Juana viene da abm-enterprises.net.

La seconda da members.tripod.com.

Un paio di biografie:

wikipedia

i grandi eccentrici

martedì 17 aprile 2012

Cina. Mythical creature, chinese painting





Mythical creature (detail)
Chinese painted album of animals and birds.
19th century.
Chester Beatty Library.

L'immagine viene da una cartolina della  Chester Beatty Library.
La mytical, che trovo impagabile, è stata acquistata nel piccolo shop dell'apprezzabile C.B.Library di Dublino.
Andateci: belle collezioni di stampe, disegni, miniature, manoscritti, tutti di alta qualità e alcuni - bibbia - di grande rarità. Piacevole anche il caffè interno, nella corte coperta.
C.B. è stato un magnate americano e grande collezionista che ha beneficiato l'Irlanda grata di ricco dono.

Questo il sito:

http://www.cbl.ie/

E qualche stralcio:

The Chester Beatty Library, one of Ireland's National Cultural Institutions, was created by Sir Alfred Chester Beatty and bequeathed by him to a trust for the benefit of the public. The Library is both an art museum and library, housing an outstanding collection of Islamic manuscripts, Chinese, Japanese, Indian and other Oriental art. Early papyri, including some of the earliest texts of the Bible and other early Christian manuscripts, western prints and printed books complete what is one of the richest collections of its kind in the world. The CBL Reference Library contains 8,000 volumes relating to the collection.

lunedì 16 aprile 2012

Cina. The pure scream, chinese painting




The pure scream
Detail from a Chinese painted handscroll by Lin Chang-Hu, 1999
Chester Beatty Library.

L'immagine viene da una cartolina della  Chester Beatty Library.


Questo il sito:

http://www.cbl.ie/


Cina. Un respirante vaso-uccello del neolitico.





Un vaso di ceramica nera destinato a contenere cibo, a forma di uccello, del periodo neolitico (V - VI millennio a. C.).

Da 7000 anni di Cina, Silvana Ed, Milano 1983

E' un bellissimo "gufo", trovato nella tomba di una donna, evidentemente importante.

Pare che questo tripode avimorfo sia oggetto raro, mai rinvenuto in siti di quel tipo.

Mi commuove; rievoca alla mia mente l'altrimenti inimitabile ceramica precolombina, l'unica nella quale abbia visto la ceramica gonfiarsi e respirare organicamente, come per questo gufo.

Giappone. Maschere No

Nel Kabuki gli attori si truccano, nel No si mascherano. Ecco alcune maschere del teatro No di eccezionale bellezza. Dal sito di un antiquario,  harumi antiques, maschere No e Kyogen, possiamo conoscerne i nomi e il senso.

Le immagini di maschere che propongo provengono da Compagnia Zeami-za della famiglia Kanze. Il Sottile incanto. Tre giornate di teatro No. 26-27-28 giugno 1989. Teatro dell'Opera di Roma. Cappelletti e Riscassi, Milano 1989.

Famiglia Kanze: una dinastia.



Questa maschera credo sia "Zo-onna".
A mature woman in her thirties, with an atmosphere of divine purity (dal sito con le maschere prima indicato).



Questa è certamente "Okina".
One of the best known masks types. The most senior actor dances for world peace and good harvest on the opening ceremonial stage. The Okina mask is constructed differently from other masks; the lower jaw is carved as a separate piece and attached by string.



Questa altrettanto sicuramente è "Hannya".
Expresses the fury of a woman turned demon by jealousy and frustration.

Nel giugno 1989 andai a vedere uno spettacolo di No, eccezionalmente a Roma. Fui tra quegli spettatori che rimasero fino alla fine.

Il teatro No è stilizzato, lento, astratto, straordinariamente intenso. Ho dimenticato molti appassionati drammi, ma non quello spettacolo.

Era la storia di un giardiniere che amava una dama di corte; la dama gli dice che lo ricambierà, se lui solleverà il peso dell'amore. Un masso avvolto in una pezza di seta. Il vecchio muore nello sforzo. La dama pentita si china sul masso, ma non può più rialzarsi: resta inchiodata dalla colpa e dal rimorso. Sarebbe preda dello spettro del giardiniere, se in questi la furia non cedesse all'amore: diverrà lo spirito guida della dama.



sabato 14 aprile 2012

Cina. Le trecento poesie Tang


Le Trecento poesie T'ang.

Versioni dal cinese e introduzione di Martin Benedikter, I Millenni Einaudi, Torino, 1961.
Oggi vedo, da un giro su rete, che si trova in edizione Mondadori, Milano, 1972 (edizione su licenza di Giulio Einaudi Editore, © 1961).

Si tratta di un'antologia “popolare”, della poesia T’ang (età d’oro della lirica cinese, dinastia lunga tre secoli, dal 618 al 907) raccolta nella metà del XVII secolo – la raccolta completa è di 900 volumi - da un certo Heng T’ang t’ui shih, L’Eremita dello Stagno di Loto.

Wang Wei, Li Po, Po Chu-i, Tu Fu, i più famosi poeti della raccolta.

WANG WEI 699-759; funzionario dalla travagliata e importante vita politica, poeta, pittore e medico. Restano quattro libri delle sue poesie. Uno spirito nitidamente buddista permea la sua lirica.

Risposta al prefetto Chang

Tardo negli anni sola quiete amo,
le diecimila cose non mi serrano il cuore.
Dinanzi agli occhi, non grandi disegni,
nel vuoto io tendo verso le selve antiche.

Tra i pini il vento spira, la cintura dislega,
nei monti la luna splende sul sonoro liuto.
Tu domandi ragione di mala e buona sorte…
Canto di pescatori scende l’ultima riva.




In vicinanza del tempio dei Densi Aromi

Non so il tempio dei densi aromi.
Per molte li penetro nubi e cime,
fra i vecchi tronchi senza sentiero umano…,
ma dal fondo dei monti, da dove, il gong?

Voce di fonti gorgoglia tra levigati sassi,
il lume del sole raggela nel cupo dei pini.
Diafana ora della sera: nel vuoto cerchio dello stagno,
in contemplata pace il velenoso drago si placa.



La mia casa nel Chung-nan

Di media età mi volsi ad amare il tao.
Nei tardi anni dimoro alla soglia dei monti del sud.
Quando mi piace ogni volta da solo m’avvio,
ciò che è bello, in solitudine intendo.

Cammino fin dove l’acqua finisce,
siedo e contemplo le nubi sollevarsi nell’ora.
Se a caso incontro nella selva il vecchio,
lieti parliamo senza tempo per il ritorno.



Addio

Per la montagna siamo venuti insieme.
Tramonta il sole, chiudo l’uscio silvestre.
A primavera verdeggerà l’erba novella:
gentile amico tu torni, o non torni?


Le tre pitture che vedete sopra, su seta, sono di Zhang Xuan, "Women Preparing Newly Woven Silk"; pittore T'ang, ovviamente. Dal questo sito, dell'università di Pittsburg, che dà anche sintetiche notizie sui T'ang.




Questa pittura invece è di Zhou Fang, 8th century. The center portion of a scroll of ladies playing double sixes. Probably a Song copy. Da wikipedia


LU LUN

Canti di frontiera

S’è oscurata la luna, le oche selvatiche volano in alto,
il capo degli Unni nella notte cerca la fuga,
e noi l’inseguiamo presto, leggeri d’armi sopra i cavalli.
Alta è la neve. Riempie gli archi, le spade.



CH’UAN TE-YU

Alla maniera della torre di giada

Ieri notte la cintura della veste s’è scivolata da sola,
stamane un rosso ragnetto ho visto volare,
a cipria e belletto non riesco a resistere…
non è che il mio “randello” sta per tornare?



LIU TSUNG-YUAN

Neve sul fiume

Su mille cime si dilegua degli uccelli il volo.
Su diecimila vie degli uomini muore la traccia.
In solitaria barca, un vecchio, manto di giunco e tesa di bambù,
solo, pesca nel fiume neve e gelo.



LI SHANG-YIN

Salendo l’altipiano di Lo-yu

Quando viene la sera il mio cuore si turba.
Spingo i cavalli del carro sul vecchio altipiano.
Senza fine è bello l’ultimo sole.
Ma sono vicine, le tenebre brune.



CH’EN T’AO

Disappunto di primavera

Ho battuto le mani, ho scacciato il rigogolo.
Non voglio che canti sul ramo!
Cantando ha spaurito il mio sogno.
Non m’è riuscito di giungere sino a Liao-hsi.






Dipinto con dame T'ang, da fog.ccsf.edu


CHANG HANG CHIU-LING  

Guardo la luna e penso all'amico lontano

Sale dal mare la chiara luna,
sopra gli orizzonti ci unisce nell'ora.
Ma il sentimento nostro non ama il vuoto della notte,
la lunga sera ravviva la nostalgia, il ricordo.


A lume spento amo la piena del chiarore,
addosso sento la veste molle di rugiada.
Nulla posso donarti a piene mani:
torno nella stanza, sogno le ore felici.






Cortigiano T'ang, da artnet,com


TS'UI T'U  

l'oca selvatica solitaria

File e file ritornano, si perdono oltre confine.
Ma tu dove vai, tutta sola?
Nella pioggia di sera chiami le altre, perdute,
sulla diga deserta incerta discendi.

Sull'isola avvolta di nebbia passi nel fondo del buio,
la luna di frontiera fredda t'insegue.
Non è che devi incontrare l'arco disteso,
volare da sola al tuo pericolo non basta.